Violenza sulle donne, al corteo a Como
anche slogan anti Rapinese

In città Ci sono anche il sindaco e alcune sue “uscite” nel mirino di chi ha partecipato all’iniziativa di piazza. Poi la tragedia del Sudan e l’aumento dei femminicidi

Como

Insieme, sotto le luminarie, «per tutte quelle donne che più non hanno voce»: ieri pomeriggio, Como si è unita in simultanea alle altre città d’Italia per ricordare la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere. Lo ha fatto con un corteo, organizzato dalla rete Intrecciat3, che comprende varie associazioni, realtà e attivisti del Comasco.

«Dalla Barbagia alla Valtellina»

Di norma, i cortei prevedono musica e cori, ma alle 18, in cima a via Milano, c’è spazio solo per il silenzio. Dura esattamente 15 minuti ed è voluto da “Donne in nero”, una rete internazionale che manifesta per la pace e sensibilizza sulla condizione delle donne nei paesi in guerra. Dopo i primi passi in direzione piazza Vittoria, ci si accorge che questa non sarà una manifestazione come le altre. Il primo di tanti slogan, infatti, viene dedicato al sindaco Alessandro Rapinese e si rifà a quanto successo durante lo scorso consiglio comunale. Recita così: «Dalla Barbagia alla Valtellina, sindaco Rapinese sei una rovina». Segue poi: «Rapinese, sono anch’io valtellinese». E ancora: «Zitto tu, non ti permettere mai più».

A gridare ormai non sono più solo le manifestanti della partenza, perché mentre il corteo fluisce, si aggiunge gente. Tra i volti scesi in strada ci sono donne di ogni età: la più piccola ha qualche mese e sta marciando nel marsupio della mamma. Contro ogni stereotipo, ci sono alcuni ragazzi e signori adulti, alcuni con la partner, altri da soli. Alle insegne di via Milano si accostano cartelli e cartelloni femministi: del resto l’invito era proprio questo.

Ma tra gli striscioni che sfilano verso le mura, ce n’è uno che porta con sé tante storie: è quello della scuola per donne e mamme straniere di Como, che riporta la scritta “Basta violenza contro le donne” in tutte le lingue delle studentesse che l’hanno realizzato.

Nei 1.600 metri di percorso, la prima tappa è in piazza Vittoria. Qui interviene Celeste Grossi, attivista di “Donne in nero”, che ricorda: «In Sudan i corpi delle donne sono scene del crimine. Non esistono più luoghi sicuri dove riunirsi, proteggersi, accedere ai servizi sanitari vitali. Lo stupro viene usato come arma di guerra».

«Si interviene quando è tardi»

Guardando all’Italia, l’osservatorio nazionale di “Non una di meno” riporta 77 femminicidi dall’inizio del 2025, a cui si aggiungono almeno altri 68 tentati femminicidi.

In piazza San Fedele, alla seconda tappa, ci si passa il microfono. Si parla del fatto che il 25 novembre non è un rituale commemorativo. O del fatto che non tutti gli uomini agiscono la violenza, ma tutte le donne vivono nel sistema culturale del patriarcato. Marcella Cirrincione, membro di “Non una di meno”, rilancia: «La risposta istituzionale alla violenza è una pattuglia, una app, una telecamera, un braccialetto. Si interviene quando è troppo tardi e si presuppone che la sicurezza debba partire da un’autorità. È una narrazione tossica: la donna custodita non è libera». Quando la musica riprende, anche il corteo si ricompatta. E in via Vittorio Emanuele, a un soffio da Palazzo Cernezzi, i cori contro il sindaco vengono ripetuti. All’arrivo in piazza Verdi è ormai ufficialmente sera. Nei cartelli, striscioni e nastri rosa indossati in ogni dove, risuona uno degli ultimi slogan: «Oggi Como è transfemminista».

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