Violenze sessuali su minori. Nella setta anche due donne comasche

L’inchiesta In 27 a processo per associazione a delinquere. I primi reati già trent’anni fa. Tra le vittime quattro bambini che avevano meno di dieci anni all’epoca degli abusi

Il racconto iniziale suonava anche accattivante: si parlava di «pratiche magiche» utili per annullare quello che veniva definito «l’io pensante» per accendere quel «fuoco interiore» che consentiva di entrare in un «mondo fantastico e segretissimo». Sul “segretissimo”, in effetti, non ci sono dubbi. Su tutto il resto molti di più, visto che dietro a questa facciata per l’accusa si nascondeva l’incubo, ovvero – con parole meno oniriche – una associazione per delinquere chiamata “Setta delle Bestie”, accusata di un numero indeterminato di delitti contro la sfera sessuale, tra cui violenze sessuali aggravate, di gruppo, induzioni in schiavitù con partecipi anche bambine inferiori ai 10 anni. Un gruppo che aveva punti di ritrovo per le orge – nel Milanese, nel Pavese, in Liguria – e anche attività pubbliche che fungevano come punti cardine per l’adescamento di nuove vittime, tra queste una casa editrice, scuole di ballo, un centro psicologico e anche una erboristeria. Tra i presunti componenti, chiamati a processo, anche due comasche.

A processo

A capo di tutto c’era il “Dottore”, detto anche “Re Bis” o il “Pontefice”, quello che per la presunta setta era il tramite tra il mondo terreno e quello spirituale alle cui volontà tutti dovevano sottostare in maniera incondizionata. Questo presunto capo assoluto ha anche un nome, Gianni Maria Guidi, 79 anni, nato a Pavia e residente a Milano. Sono ventisei le persone che oggi si siederanno – o direttamente, o tramite loro avvocati – di fronte alla Corte d’Assise di Novara.

Tra queste anche due comasche, entrambi donne, che avevano compiti marginali secondo quanto sostenuto dalla pubblica accusa, ma che sarebbero state pur sempre attive all’interno della setta «partecipando agli incontri sessuali organizzati per i fini della setta». Si tratta di Manuela Carolei, nata a Como, oggi residente a Milano (73 anni) e di Lisa Furini, per qualche tempo residente in città e oggi pure lei a Milano (40 anni). Alla prima viene anche contestato, tra i ruoli in seno alla setta, l’essersi adoperata nell’assistenza del “Dottore”. Avevano anche dei nome d’arte le due comasche, una “Bestiolina” e l’altra “Lumachina” o “Lumi”. Un po’ come tutti gli altri adepti che si facevano chiamare il “Messere”, il “Prof”, “Cavallo Baio”, “Nerina”, “Orsina”, “Foffi”, “Farfy-Como” e potremmo continuare.

I ruoli e le contestazioni

La presunta setta aveva anche ruoli ben precisi: dietro al capo, al “Pontefice”, c’erano le “mami” che seguivano e organizzavano le adepte e le nuove entrate, c’era chi era incaricato di trasmettere le volontà del capo, e poi c’erano le reclutatrici delle giovani ragazze che venivano adescate in vari modi, o tramite legami di famiglia tra chi già faceva parte della setta, oppure tramite altre attività come le suole di ballo, le erboristerie, la casa editrice. Ma c’erano anche i “ganci”, che mettevano in pratica i voleri del capo, e pure i “guardiani” che controllavano che tutto andasse per il meglio nelle case e nelle dimore dove la setta periodicamente si ritrovava per le pratiche sessuali anche – e soprattutto – estreme cui erano costrette anche minori.

La storia è emersa in seguito a una denuncia di una ragazza, fatta entrare nella setta all’età di 7 anni e uscita quando ne aveva 35. Bambina prima e donna poi (introdotta da una zia) che ha avuto la forza di raccontare cosa ne era stato della sua vita. Il periodo di attività della presunta associazione per delinquere va infatti indietro addirittura fino al 1990. Ma con lei sono state altre nove le ragazze che hanno raccontato la loro storia, di queste ben quattro minori di 10 anni.

Le donne, ma anche le bambine, sarebbero state legate a tronchi d’albero, bendate, frustate, bruciate con la cera bollente

Le pratiche sessuali sarebbero state via via sempre più estreme e spesso dolorose, perché il dolore era considerato come un mezzo per elevare la mente. Le donne, ma anche le bambine, sarebbero state legate a tronchi d’albero, bendate, frustate, bruciate con la cera bollente nelle parti intime, e poi avviate a pratiche sessuali di gruppo. Una delle vittime, adescata in una scuola di danza del ventre, sarebbe stata convinta a interrompere la relazione con il fidanzato, ad allontanarsi dalla famiglia, il tutto per un bene superiore. Che poi, però, si era sostanziato in una serie di frustate dopo essere stata appesa ad un gancio sul soffitto. Tutto quanto fin qui scritto è contenuto nelle pagine dell’accusa. Toccherà all’aula della Corte d’Assise accogliere o confutare quanto contestato dalla Procura.

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