Virus, studio comasco
«Alcuni bimbi positivi
per quasi tre mesi»

La scoperta di Villa Santa Maria : «I risultati dei tamponi da soli non bastano più. Bisogna conoscere l’esatta carica virale dei pazienti»

A due settimane dalla riapertura delle scuole, i ricercatori di Villa Santa Maria pubblicano un paio di studi scientifici sul virus che rivelano due dettagli non da poco sul Covid.

Gli studi

Il primo: a prescindere dal fatto che abbiano o meno manifestato i sintomi dell’infezione, i bambini e i ragazzi che sono stati affetti dal Coronavirus possono risultare positivi al tampone nasofaringeo per periodi che arrivano a sfiorare addirittura i tre mesi. Il secondo: non necessariamente una bambino o un ragazzo positivo è anche infetto, questo dipende dalla carica virale. «Per questo - sottolinea il professor Enzo Grossi, direttore scientifico di Villa Santa Maria - quello della carica virale, ovvero della concentrazione del virus nell’organismo, è un aspetto molto delicato e spesso trascurato» ma assolutamente essenziale.

Il dato, che conferma l’importanza della determinazione delle cariche virali in soggetti con positività al Covid-19 e che è particolarmente significativo in vista dell’apertura dell’anno scolastico, emerge da due studi pubblicati dalla rivista scientifica Journal of Infection e firmati dal professor Grossi e dal dottor Vittorio Terruzzi, quest’ultimo direttore sanitario del Centro Multiservizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza di Tavernerio.

Il primo studio è stato accettato e pubblicato nel tempo record di soli tre giorni ed è stato realizzato in collaborazione con il Centro Diagnostico Italiano di Milano, focalizzandosi sulla dinamica della carica virale in un gruppo di 30 bambini e adolescenti lungo l’arco di diverse settimane. I tamponi, ripetuti su base mono o bisettimanale, hanno messo in evidenza che chi ha sintomi da Covid-19 ha mediamente una carica virale più elevata rispetto a chi non ha sintomi e che chi ha una carica virale più elevata elimina il virus in un tempo superiore.

L’aspetto più sorprendente è stato però che i livelli di carica virale possono oscillare notevolmente nel tempo prima di ridursi sotto il livello che contraddistingue la negatività e che l’intervallo necessario per una scomparsa definitiva del virus dal tampone nasofaringeo può superare i due mesi. Addirittura, uno di questi soggetti, un bambino di 9 anni affetto da autismo il cui caso è stato approfondito nel secondo articolo pubblicato dal Journal of Infection, è rimasto positivo per quasi 3 mesi in ragione della carica virale iniziale estremamente alta.

«Normalmente - sottolinea il professor Enzo Grossi - ci si limita a definire se un soggetto sia positivo o negativo al Covid-19, ma nell’ambito della cosiddetta positività i valori di carica virale possono variare di oltre dieci ordini di grandezza, e questo può fare una grande differenza nel modulare l’intensità delle precauzioni da adottare» anche perché con cariche virali basse un paziente, ancorché positivo, non è contagioso.

Cos’è la carica virale

Tecnicamente gli esperti lo spiegano così. I test diagnostici attualmente utilizzati per evidenziare la positività al virus si basano sulla metodica molecolare di reazione a catena della polimerasi (Pcr).

Per fare questo l’Rna (l’acido ribonucleico, che viene tradotto dalla cellula infetta in proteine virali) subisce una trasformazione: viene prima trascritto a Dna e poi amplificato in una serie di cicli. Più è alto il cosiddetto ciclo-soglia, meno Rna virale è presente in chi ha fatto il tampone. Un risultato positivo - spiegano gli esperti di Villa Santa Maria - può pertanto non significare necessariamente che la persona sia ancora infettiva o che abbia ancora una malattia significativa, dato che l’Rna potrebbe provenire da un virus non più vitale o ucciso.

Il problema, quindi, è che in assenza di informazioni specifiche sulla carica virale, un soggetto positivo rischia di essere mantenuto in isolamento per settimane inutilmente. Per contro un soggetto con cariche virali particolarmente alte può rappresentare per lungo tempo una fonte di contagio anche se asintomatico o paucisintomatico.

«Il messaggio che emerge da queste osservazioni - conclude il professor Grossi - è che un attento monitoraggio con test ripetuti a intervalli regolari dei valori della carica virale è importante per stabilire la durata dell’infettività. Sarebbe opportuno, quindi, che i laboratori nel definire un tampone positivo quantificassero la carica virale, come si fa con i comuni esami di laboratorio per la glicemia e il colesterolo». n 

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