Bruce e San Siro, l’energia dell’amore. E giovedì si replica

Il concerto Milano si conferma uno dei luoghi preferiti da Springsteen. Attesa per la coreografia nell’ultima tappa del tour europeo

Milano

Jim Morrison diceva che la vita è come uno specchio. Ti sorride, se la guardi sorridendo. Anche un concerto di Bruce Springsteen, funziona allo stesso modo. Ti regala un’energia vitale se lo accogli con adrenalinico entusiasmo. Non c’è più alcun dubbio: San Siro è il tempio del Boss. Il tinello di casa. Il luogo del cuore. La fonte dell’eterna giovinezza. E poco importa se si muore di caldo in quel catino ribollente di gioia. E poco importa se quest’anno saranno 76 anni. San Siro “is the best”. San Siro è sinonimo di magia, nel binomio tra il rocker di Freehold e il suo pubblico italiano.

Quello di lunedì è stata di gran lunga la migliore performance live di quest’anno del Land of hope and dream tour. Nonostante Springsteen abbia preparato una scaletta da pilota automatico, senza alcuna sorpresa rispetto a un canovaccio ormai consolidato, ciò che ha regalato a San Siro non ha nulla a che vedere con altre tappe strutturate allo stesso modo. Lo si intuisce fin dal saluto iniziale. Dai primi colpi di batteria di Max Weinberg su No surrender. Dal coro del pubblico sulle note iniziali di My love will never let you down, coro che Springsteen asseconda facendo abbassare il volume alla E Street Band per godersi la voce del Meazza. Dal boato con il quale viene accolta la intro di Land of hope and dream con il primo dei tre monologhi costruiti per demolire la politica di Trump, antitesi assoluta di quel sogno americano “che vi racconto e canto da cinquant’anni”.

C’è tutto un messaggio dentro quella scaletta. Un messaggio per la sua America, dalla sua America. A un terzo esatto c’è The promised land, la terra promessa creduta e sognata dalle generazioni cresciute con la colonna sonora del Boss nelle orecchie. C’è la Youngstown, simbolo della città dove la gente si ammazza di lavoro nelle fornaci che lavorano il carbone per sfamare la famiglia, e dove si affonda e si spera, dopo la morte, non nel paradiso che “non saprei farlo funzionare bene”, ma nell’inferno per tornare a lavorare “nelle sue fornaci”. C’è la preghiera di My city of ruins e l’invito a risorgere dalle sue macerie. E poi Thunder road: “It’s a town full of losers, I’m pulling out of here to win”.

I bis non sono necessariamente amati dai fan storici, ma sono quelli che fanno ballare lo stadio intero. Che lo fanno tremare sul basso di Born in the Usa, scatenare su Born to run, saltare su Dancing in the dark, urlare su Tenth avenue freeze out e Twist and shout, prima di salutare con la Chimes of freedom di Dylan.

Bruce saluta e, gesto inedito, unisce le mani a preghiera e si inchina al suo pubblico. Quindi scende le scalette e scuote la testa incredulo. Quasi a dire: “Non ci credo… incredibili”.

Giovedì alle ore 20 risalirà quelle scalette. E si troverà di fronte una sorpresa: la coreografia dello stadio intero. La speranza di chi l’ha pensata e di sconvolgerlo di emozioni. E costringerlo a regalare il più grande show di sempre. O andarci vicino. Potrebbe essere l’ultima data a San Siro per Bruce Springsteen e la sua E Street Band. Non potete mancare.

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