Tra mamma e giustizia aveva ragione Camus

Da “Buonanotte” a “Radio Londra”: la rubrica cambia format e - pur mantenendo la sua collocazione tradizionale nel giornale della domenica - anticipa l’appuntamento con i lettori al venerdì sera, intorno alle 21, come podcast. Un audio della durata di tre minuti e qualche manciata di secondi in cui potrete ascoltare un punto di vista sul mondo che cerca di ribaltare i preconcetti. “Radio Londra” di Mario Schiani: ogni venerdì alle 21 sul sito laprovinciadicomo.it, Spotify, Google Podcasts e Spreaker

Davanti a un agguerrito gruppo di studenti algerini, accesi dal sacro fuoco dell’amor patrio e del potente desiderio di indipendenza, Albert Camus se ne uscì con una frase che, ancora oggi, qualcuno considera infelice: «Io credo nella giustizia, ma tra la giustizia e mia madre scelgo mia madre».

Gli studenti lo criticarono duramente; in Francia, la sinistra arrivò praticamente a bastonarlo. La frase di Camus, che pure era stato iscritto al Partito comunista, fu letta come un attacco frontale a un concetto base della visione egualitaria, e ancor più una chiusura sul privato, sull’individualità, a discapito della prevalenza dell’interesse collettivo.

In realtà, Camus andava molto oltre la disputa algerina e perfino molto al di là della questione politica. Nel salvare la madre e nel ripudiare, in un certo senso, la giustizia, Camus prendeva una posizione filosofica. La scelta esprimeva la sua inclinazione ad abbracciare l’empirismo, ovvero l’azione intrapresa sulla base dell’esperienza, e non l’ astratto razionalismo, l’attaccamento rigido e quasi meccanico ai “valori” e a qualunque cosa da tali “valori”, nella pratica, possa discendere.

Alla frase di Camus ho pensato guardando un reportage fotografico messo online dal Washington Post intitolato “Terror on repeat”. Il sottotitolo della pubblicazione, tradotto, recita: «Uno sguardo alla devastazione prodotta dalle raffiche di AR-15».

L’AR-15 è un fucile semiautomatico di produzione americana, noto per essere stato impiegato in diversi massacri compiuti nelle scuole. E proprio queste tragedie troviamo al centro dell’articolo del Washington Post: una serie di fotografie, quasi tutte provenienti da archivi di polizia, che danno testimonianza delle conseguenze di queste folli incursioni. Ci è risparmiata la vista dei cadaveri, ma non quella del sangue, e la potenza di fuoco del fucile è dimostrata dall’infinito numero di fori rimasti nelle pareti delle aule, nei banchi, negli zainetti, negli armadi che contengono il materiale didattico. Dicevo del sangue: versato in quantità inimmaginabili a dipingere - letteralmente - scenografie oscene e infernali.

Ecco, l’articolo basta a stabilire che Camus aveva perfettamente ragione: tra la giustizia e la madre, tra il principio e l’umanità, la scelta giusta è quella empirica. E dunque al diritto a portare le armi, alla sedicente libertà del privato, alla difesa presunta dell’individuo, occorre anteporre la sicurezza, che in questo caso è sinonimo di vita. Che le madri, quella di Camus come tutte le altre, portano nel mondo e che gli AR-15 dal mondo buttano fuori.

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