Alfonsina, la ragazza che voleva pedalare

La storia L’8 marzo a Gravedona, per la festa della donna, la messinscena teatrale di una storia straordinaria e dimenticata

Un 8 marzo sui pedali. E a teatro, per ricordare la figura di Alfonsina Strada. Una storia, caduta nel dimenticatoio, di una donna che ha combattuto il pregiudizio sociale, tirando dritta, sempre in sella alla sua amata bicicletta. È stata la prima a correre, in mezzo a soli uomini, il Giro d’Italia nel 1924, esattamente cento anni fa. A far riemergere questa storia, così profonda e piena di passione, sarà Amelie Seib, di Griante, “storyteller, tarot reader, mask maker” come si apprende dal suo profilo Instagram, con lo spettacolo “Alfonsina, una vita sui pedali”. Lo porterà in scena alla sala polifunzionale di Gravedona, non a caso il giorno della festa delle donne alle 21, in collaborazione con l’Anpi.

Per Amelie, è stata una folgorazione: «Ho scoperto la storia per caso, a un concerto dei Têtes de Bois, che le hanno dedicato una canzone. Otto anni dopo, all’improvviso, mi è venuta l’idea dello spettacolo».

Quanto questa donna sia stata importante per Amelie, lo racconta lei stessa: «Per me è un personaggio unico, direi il mio mito personale: la sua è una storia che mi ha sempre affascinato. Alfonsina è nata a fine ’800 a Bologna, da una famiglia di braccianti, analfabeti, terza di dieci figli. Ha imparato a leggere e a scrivere, poi è stata mandata a lavorare. La sua folgorazione è stata una bicicletta regalata al padre». Il resto, è un crescendo di passione: «Alfonsina si innamora di questa bici, pesantissima. La vede come una via di fuga da un mondo ristretto. Ha un talento per questo sport, ma deve convivere con i mormorii del paese: era “il diavolo in gonnella”, a quei tempi era una vergogna andare in bici per le campagne bolognesi. Ma va avanti, come ha sempre fatto, cominciando a disputare gare di paese sulla Via Emilia dove si allenavano i ciclisti».

Il processo di emancipazione continua. A 17 anni Alfonsina conosce Luigi Strada, un suo grande fan, con lui si trasferisce a Milano: «Alfonsina – spiega Amelie - comincia a essere conosciuta, perché non c’erano donne che disputavano gare di ciclismo. Riesce a battere il record di velocità, finché non si presenta alla Gazzetta dello Sport, che già organizzava le grandi corse a tappe e le classiche, per iscriversi al Giro di Lombardia del 1917. Come ci riuscì? Sul regolamento non c’era scritto che le donne non potessero partecipare. Arrivò ultima, ma ormai la sua grande storia era partita».

Alfonsina vive poi il dramma del marito in manicomio e il modo per uscire da quel tunnel è rimettersi in sella all’amata bicicletta. La grande sfida è il Giro d’Italia, a cui riesce a iscriversi nel 1924, quando aveva già 33 anni: «Non c’erano i grandi campioni come Girardengo, si temeva un calo di interesse del pubblico. E così, la sua iscrizione fu accettata: fu un Giro devastante, 3mila chilometri, una media di 300 al giorno. Su 91 iscritti tagliarono il traguardo finale in 33. E tra loro, fuori tempo massimo, c’era anche lei».

Fu quello l’ultimo atto della sua carriera agonistica, che poi proseguì come performer, per un circo, facendo spettacoli sulla ruota della morte, sui rulli. Sognando sempre un altro Giro, che però non riuscirà mai a fare. Dopo un periodo a Parigi, Alfonsina apre negozio di bici a Milano e, nel 1959 dopo le Tre Valli Varesine, nel tentativo di rimettere la sua moto Guzzi in garage, cade e muore d’infarto.

Ora, lo spettacolo di Amelie intende ricordarla, con il sogno – un giorno – di riuscire a legarlo al Giro d’Italia: «Lo spettacolo è scritto da me, il registra è Matteo Destro, un grande mascheraio toscano che mi ha insegnato questa tecnica. È una rappresentazione minimal, che si può adattare a qualsiasi ambiente, anche in strada. Sul palco ci sarà io, con una bicicletta e le maschere che ho realizzato».

“Alfonsina, una vita sui pedali” sarà itinerante: «Quest’anno per i 100 anni del giro disputato da Alfonsina, c’era l’idea di riproporre lo spettacolo nelle varie tappe del Giro, ma si tratta di un impegno gravoso. Si farà in alcune tappe comuni al Giro 2024 e al Giro 1924, come L’Aquila, Perugia e Bologna».

Cosa intende far emergere lo spettacolo? «Se c’è una cosa che ho imparato da questa storia è andare sempre avanti, pedalare e fare: alla fine, anche nei momenti bui, la soluzione si trova. In realtà io trovo questa una storia affascinante: non c’è lieto fine, perché Alfonsina ha realizzato un sogno, ma c’è comunque un senso di amarezza, un senso di incompiuto nella sua storia. Quando è andata a vedere le Tre Valli Varesine con Coppi e Bartali, le era rimasta la tristezza che nessuno l’avesse riconosciuta. Un sogno che si realizza, sfidando insulti e minacce, non garantisce la felicità».

In passato, lo spettacolo è stato proposto in collaborazione con la Lega italiana per la lotta contro i tumori: «Il messaggio di Alfonsina è potente ed è stato di aiuto per le donne che lottano, È una storia che dà forza». È la storia di Amelie ed è la storia di Alfonsina, che voleva pedalare.

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