La nostra Africa: sorrisi e speranza

Storia di una missione Greta e Luca, coppia nella vita e nella condivisione di un sogno che li ha portati lontano. L’obiettivo è un progetto rivolto ai piccoli orfani nel cuore della Tanzania con la Fondazione “Tabasamu For Hope”

Un sogno che si sta realizzando, partito da lontano, ma sempre più concreto, mattone dopo mattone. Greta Schettino, classe 1997, di Cernobbio e Luca Casadio, del 1994, di Bologna sono una coppia nella vita e nella condivisione di un orizzonte più grande che li ha legati per sempre a doppio filo con l’Africa, la Tanzania in particolare. Dal momento della loro scelta di vivere insieme un’esperienza di volontariato internazionale, che ora ha messo delle radici più che forti, hanno poi deciso di investire nella creazione di un progetto rivolto a 18 tra bambini e bambine rimasti orfani, il più piccolo ha un anno e mezzo di età. L’obiettivo è costruire una struttura per accoglierli e crescerli. Il cantiere è oggi in corso d’opera.

«Con la Tanzania è stato amore a prima vista. Ci siamo mossi con l’idea di provarci all’estero in un servizio agli altri che potesse fare nel nostro piccolo la differenza. Luca è medico - dice Greta - io vorrei lavorare nel sociale, mentre adesso mi occupo di marketing - tramite la rete abbiamo individuato una realtà associativa piccola, poco conosciuta. L’idea era proprio quella di impegnarci per un sodalizio che ci facesse respirare l’autenticità del progetto in cui ci saremmo inseriti, per avere un contatto diretto con le persone che ci lavorano e poter contribuire in maniera molto operativa a sviluppare anche delle nuove attività».

L’incontro con David Joseph Wella, insegnante tanzanese, presidente dell’associazione Tabasamu For Hope Foundation, da subito si è rivelato una svolta. «Già dai colloqui conoscitivi on line, che abbiamo affrontato prima di partire, è scattata un’empatia immediata, ci siamo riconosciuti. Lui ci ha parlato di come, insieme alla moglie e alla sua famiglia, avesse voluto in qualche modo seguire la strada del padre, pastore cattolico-protestante del villaggio, calandosi con tutte le sue risorse nella presa in carico e nella cura di alcuni minori rimasti soli o con alle spalle delle situazioni familiari molto complesse». Il primo viaggio di Greta e Luca è avvenuto nel 2022. «Quando siamo arrivati nella regione di Arusha, in un nucleo rurale del Nord della Tanzania, siamo rimasti colpiti dai bisogni a cui doveva e deve ancora oggi far fronte questa comunità. Il primo impatto ci ha trasmesso però un forte senso di aiuto reciproco, anche incontrando David e i bambini abbiamo toccato con mano cosa significa quando un villaggio si prende cura dei suoi abitanti e lo fa come fosse una grande famiglia allargata».

Tabasamu all’inizio garantiva questa accoglienza domestica ai minori nella casa di David, anche con l’aiuto di volontari e di fondi ministeriali. Si tratta di una grande casa, dove vive con la moglie, e i fratelli e le sorelle. I bambini sono stati sistemati in 18 in tre letti, anche il tetto della struttura è compromesso, e i bagni praticamente inesistenti, un buco nel terreno del campo esterno. Il Covid ha interrotto l’arrivo di qualsiasi risorsa e reso ancora più critica la situazione.

«I primi giorni di agosto 2022 siamo partiti, probabilmente senza sapere bene nemmeno noi cosa aspettarci, sicuramente senza immaginare l’importanza che quel viaggio avrebbe poi avuto nelle nostre vite. All’arrivo, l’accoglienza è stata indescrivibile: i bambini di Tabasamu ci sono corsi incontro subito, cantando, gioendo, lasciandoci completamente spiazzati. Quella gioia e quell’affetto così manifesti, totalmente non richiesti, e così spontanei ci hanno lasciato all’inizio senza quasi sapere cosa dire. Sorridevamo e basta. E questa è forse una delle lezioni più importanti che l’Africa ci ha fin da subito insegnato: che il sorriso è un linguaggio universale e che non serve nient’altro per avere uno scambio reale con un’altra persona. L’Africa ci ha lasciato tantissimi insegnamenti, e moltissimi di questi ce li hanno insegnati proprio i bambini, e per questo siamo convinti che chi ha la convinzione di andare in Africa pensando di insegnare qualcosa ha sbagliato tutto. C’è sempre da imparare, e soprattutto con loro».

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