L’antimafia come lezione di vita

Persone La scrittrice Simona Salvatore e “Artbreak” portano a Mariano una mostra speciale Il crimine organizzato? «Ancora si fatica a riconoscerlo come qualcosa di insito nel territorio»

Mariano Comense

«Avevo sei anni. Era il giorno del mio compleanno. Mentre festeggiavamo in salotto, con amici e parenti, vidi mio padre lasciar cadere sul pavimento il piattino con la fetta di torta che stava per gustare. Era il 19 luglio 1992, la televisione stava passando la notizia della strage di via D’Amelio in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. “Papà cosa succede” gli dissi. E lui mi rispose con quella che per me rimane la prima lezione di antimafia: “Oggi è morto l’ultimo uomo per cui valeva la pena essere orgogliosi di essere palermitani”».

Ne è passato di tempo da quell’episodio, oggi Simona Salvatore ha 39 anni, è una scrittrice. Alle spalle ha già un libro che si porta dietro una serie di riconoscimenti importanti, “Lettere da Mafia & Antimafia”, e uno spettacolo teatrale, “Mafia&Antimafia”, che ha scritto e rimaneggiato, mettendolo in scena nei Comuni della Lombardia e nelle scuole. Li lega il filo rosso della promozione della cultura della legalità e l’impegno, con l’associazione Artbreak, di cui Simona è presidente, di scegliere l’arte come strumento di denuncia, divulgazione e stimolo delle coscienze, soprattutto tra le generazioni più giovani. Lo spettacolo ha fatto già tappa a Mariano Comense. Il 20 luglio 2025 Villa Sormani con la stessa intensità accoglierà, curata sempre da Artbreak, una mostra fotografia su Palermo, sui luoghi della mafia e dell’antimafia. «Perché è così importante e urgente parlare di questi temi? Perché l’antimafia è di per sé un metodo educativo – sostiene Simona Salvatore - L’antimafia è una modalità di pensiero e azione che va stimolata nei ragazzi e nelle ragazze. Va fatto vedere loro che per essere una generazione sana bisogna riconoscere e praticare la meritocrazia, non scendere a patti con la violenza, con la strada più facile, con la scorciatoia, ma investire nella propria formazione, nel proprio talento, coltivare il merito e la giustizia del merito. È necessario scandalizzarsi sia per la rapina come per il concittadino che occupa con la sua autovettura il parcheggio per i disabili o per le forme di abusivismo edilizio che fioriscono nel nostro Paese». Fare cultura in questo senso diventa fondamentale: «Anche la mafia è una modalità di pensiero e con il pensiero va contrastata. Il pensiero di Falcone e quello di Borsellino sono sopravvissuti alle stragi, sono arrivati fino a noi, e si sono sviluppati sul lavoro e sulle convinzioni di altri uomini e donne che hanno fatto della lotta alla mafia il senso della loro esistenza come il generale Dalla Chiesa e Pio La Torre. Noi abbiamo il dovere di non far spegnere questo pensiero». E da qui una riflessione proprio sulla terra lombarda in cui Simona oggi vive.

«Quando portiamo in piazza questi temi nei Comuni del territorio, noto ancora tanta omertà nel riconoscerli come un qualcosa di insito nel contesto locale. È come se non si volesse fare i conti con questa realtà, la si rifiuta e la si pensa lontana, come non ci appartenesse o interessasse. In Sicilia invece c’è la consapevolezza di quanto il pensiero mafioso possa essere invasivo e condizionare intere vite e interi territori e che essere consapevoli è l’unica cura a questo cancro. La cura e il cancro stanno entrambi nella mentalità siciliana, una dualità che contraddistingue chi abita questa regione. Palermo stessa ha una duplicità molto potente, insita nella carne degli stessi palermitani».

Lo spettacolo “Mafia&Antimafia” dà un punto di vista particolare su come la cultura della legalità si adatti alle terre in cui si sviluppa, è una rappresentazione teatrale di denuncia che incontra il pubblico con cui interagisce. Conta tre atti in cui prendono parola Mafia, Antimafia e nel terzo atto c’è lo scontro tra questi due personaggi. La denuncia arriva forte e chiara. «Se non c’è dubbio che la mafia sia una montagna di merda, l’antimafia, lo Stato, è spesso ed è spesso stato allo stesso modo corrotto». In scena una donna, avvolta nella bandiera italiana, consegna nella mani di cosa nostra l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Cala il sipario. A fine spettacolo viene offerto un nome, a sorteggio tra le migliaia di vittime della mafia sulla quale ogni persona è invitata a riflettere.

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