Le dipendenze: affari di famiglia

Salute A Cermenate è attiva un’associazione che dal 2010 a oggi ha già fornito aiuto a più di 200 nuclei familiari

Cermenate

Rabbia, frustrazione, senso di impotenza. Avere in famiglia o prendersi cura di chi soffre di una dipendenza può portare in abissi di disperazione. Non ci sono pause, vacanze, tregue temporanee: chi ha una malattia di questo genere, perché di malattia si tratta, è costantemente focalizzato solo sulle cose da fare, lecite o meno, per soddisfare il suo bisogno. Quando in casa una persona soffre di dipendenza patologica o quando un adolescente manifesta comportamenti problematici e a rischio, anche le persone vicine soffrono. Qualche volta i familiari diventano essi stessi vittime: di atteggiamenti violenti, di richieste impossibili da assecondare, di sopraffazioni che generano ansie. In queste situazioni mettere in atto comportamenti efficaci è difficile. In buona fede e per la mancanza di una guida competente, i familiari spesso diventano persino complici della dipendenza.

Eppure, proprio l’azione delle persone più vicine può portare cambiamenti significativi. Ne sono convinti gli operatori dell’associazione di promozione sociale La Tenda di Cermenate (www.associazione-latenda.it). Dal 2010 “sotto La Tenda” hanno trovato aiuto più di duecento famiglie e, nel corso del 2024, sono stati organizzati altrettanti incontri formativi ai quali hanno partecipato in media, ogni settimana, quasi una trentina di famiglie e una quarantina di persone.

Questi percorsi – condotti da esperti tra medici, pedagogisti, mediatori familiari e formatori - insegnano a riconoscere le forme in cui si manifesta la dipendenza patologica e i segnali del disagio adolescenziale, ad adottare comportamenti e regole di vita che non alimentano i fenomeni problematici, ma a quei fenomeni tolgono spazio e forza.

«Le persone che soffrono di patologie di dipendenza sono molto fragili – spiega Luigi Golfetto, presidente dell’associazione La Tenda, pedagogista ed esperto di formazione degli adulti – si “autocurano” nel modo sbagliato con i “medicinali” che sono più a portata di mano cioè le sostanze o i comportamenti. In questa società fortemente competitiva hanno bisogno di “tirarsi su”, e i meccanismi disponibili sono sostanze, alcol, gioco, internet… così hanno quel sussulto di onnipotenza e grandezza che li fa sentire al livello degli altri».

«Vent’anni fa – ripercorre Golfetto – ho conosciuto un medico tossicologo del servizio sanitario nazionale che si prendeva cura anche dei familiari insegnando loro un cambio di comportamento nei confronti della malattia. Io e mia moglie Elvira Carola, sociologa, abbiamo creduto in questo spazio di possibile attività, alla luce del fatto che, se per i pazienti che soffrono di queste patologie c’è un servizio sanitario nazionale, per i familiari che si disperano e non sanno cosa fare c’è un vuoto totale».

«La persona cara che soffre di dipendenza conosce benissimo la gravità della sua condizione ma non ha forza né mezzi per affrontarla – continua Golfetto - raramente dice “non ce l’ha faccio, ho bisogno di aiuto” e ricorrere alle prediche non serve a niente. Spesso la richiesta di aiuto è mascherata da aggressività e comportamenti che non si riescono a leggere. La dipendenza, poi, è manipolatoria: bugie, sotterfugi, soldi prestati e mai restituiti. Noi lavoriamo sull’acquisire la forza mentale e caratteriale per non soccombere e sul far comprendere che si ha a che fare con una malattia che si può mettere sotto controllo e che a volte, con il tempo, può andare in remissione. Diamo l’opportunità, attraverso gruppi di incontri in presenza e da remoto, di leggere e introiettare le espressioni della malattia per capire come gestire le relazioni, il tempo, i mezzi e anche il denaro; per imparare a porre regole di comportamento e capire che cosa si può fare concretamente».

«C’è da capire cos’è la malattia, perché se non conosco una cosa, la temo – rimarca Golfetto - Capire, invece, rasserena i familiari».

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