Cinghiali, un problema di tutti: «Occorre uniformare le normative». Due mesi di caccia in più in Ticino

Intervista Il Ticino ha deciso di allungare di due mesi il calendario venatorio per far fronte ai danni prodotti dagli ungulati. L’analisi di Andrea Stampanoni, collaboratore scientifico e guardacaccia: «In questo campo non esiste confine»

Anche il Canton Ticino ha deciso di ampliare il raggio d’azione - per inciso, con un occhio più che interessato a ciò che accade al di qua del confine (e nel dettaglio spiegheremo il perché) - nel tentativo di porre un argine ancora più solido contro l’avanzata dei cinghiali. E così il calendario venatorio il prossimo anno contemplerà due mesi in più - giugno e luglio - per la caccia al cinghiale, considerato che, per dirla con il Dipartimento cantonale del Territorio, “gli strumenti messi in campo sino ad oggi hanno mostrato dei limiti oggettivi”.

Ad Andrea Stampanoni, collaboratore scientifico e guardacaccia dell’Ufficio Caccia e Pesca cantonale - che fa capo al Dipartimento del Territorio - è quasi fisiologico chiedere se la mossa di aggiungere due mesi in più di caccia sia il segnale che in molti attendevano per affrontare o meglio per arginare l’invasione di questo temuto ungulato (soprattutto per i danni che porta in dote).

Un segnale, dunque?

In linea generale, registriamo già una buona pressione venatoria per quanto concerne il cinghiale, con varie tipologie di caccia da settembre a gennaio. Durante l’anno rilasciamo poi permessi “di tiro notturno”, finalizzati alle zone in cui avvengono i danni. Parto da qui per dire che tra un quarto ed un quinto degli abbattimenti avvengono con i permessi notturni. Ragioniamo con questo tipo di permessi nell’ordine dei 500 abbattimenti. Ma è chiaro che tutto ciò non basta.

E quindi si è deciso di allungare la stagione venatoria. Qual è l’obiettivo dei due mesi in più di caccia?

Ci siamo resi conto che questi permessi notturni hanno perso in parte la loro efficacia. Diciamo che siamo arrivati al limite per questo provvedimento in quanto da situazione eccezionale si è andato trasformando in regime venatorio. Mi spiego meglio. Ci sono notti - nelle fasi clou dell’anno - dove in un comprensorio, cito l’esempio del SottoCeneri, sono attivi contemporaneamente settanta-ottanta permessi. Ciò significa che non stiamo più ragionamento su un contenimento su base locale, ma su un vero e proprio regime venatorio.

Le ultime statistiche cantonali parlano di circa 300 mila franchi di danni causati dai cinghiali sulle coltivazioni. E’ un dato costante o in aumento?

Grossomodo la cifra finale si attesta sempre su quel dato. Molto dipende anche dal tipo di coltivazione messa a dimora. E’ chiaro che in presenza del mais - particolarmente gradito ai cinghiali - il dato sui danni è inevitabilmente destinato ad aumentare. L’aumento della pressione venatoria è però determinato ad un’altra situazione contingente che ha un particolare impatto, vale a dire la peste suina africana, che in cima alle contromisure - e ne abbiamo parlato anche con esperti italiani che stanno affrontando in presa diretta il problema - vede quella avere il minor numero possibile di cinghiali.

Che idea si è fatto dell’aumento esponenziale - su entrambi i lati del confine - della popolazione di cinghiali? Con una premessa e cioè che il confine rappresenta ormai un elemento politico forte, ma territorialmente simbolico.

Da un lato la specie tende, se non cacciata, almeno a raddoppiare numericamente. Specie che dunque ha intrinseco un potenziale di crescita notevole. Con due cucciolate l’anno è chiaro che il problema è destinato di mese in mese a diventare sempre più complesso. Ci sono poi criticità legate alla conformazione del territorio, con alcune zone veramente ostiche a causa di ampie superfici boschive. C’è poi un altro aspetto che riguarda direttamente le dinamiche di confine e dunque vi tocca in prima persona.

Quale?

Essendo il vostro periodo venatorio sfasato rispetto al nostro, ci accorgiamo quando ha inizio da voi la caccia di selezione - che, per inciso parte in anticipo rispetto al Ticino - in quanto i cinghiali si rifugiano da noi. Prova ne sia che maggio e giugno, i mesi in cui la fienagione raggiunti livelli importanti, sono i mesi in cui registriamo il picco dei danni. Il prato appena sfalciato è sicuramente un richiamo per i cinghiali. Lo diventa anche perché nelle regioni italiane di confine è iniziata la caccia di selezione e in dialetto ticinese dico i cinghiali “i sta mia là a fass cupà”, cioè non stanno in Italia a farsi abbattere. Basta spostarsi di qualche centinaio di metri e trovano riparo in Ticino.

Anche a fronte di queste dinamiche transfrontaliere servirebbe un’azione comune?

L’idea di aggiungere due mesi di caccia a giugno e luglio si rifà proprio alle necessità di omologare le misure di contrasto alla proliferazione dei cinghiali. Diciamo che la rimodulazione del nostro calendario venatorio prende spunto proprio da ciò che accade nelle realtà attigue alla nostra. E così si è pensato di iniziare a giugno, cercando per quanto possibile di rendere omogenei i calendari sui due lati del confine. Con un secondo inciso e cioè che non è stata una decisione semplice da prendere, in quanto c’è un tessuto di cacciatori che fa fatica, in alcune sue componenti, ad accettare questa come altre novità. Noi abbiamo coinvolto i cacciatori, considerandoli in tutto e per tutto nostri partner. Ma certo non è stato semplice scardinare il concetto che la caccia al cinghiale non sarebbe più iniziata a settembre. In molti hanno ben compreso il problema e questo è un segnale importante.

C’è un dato complessivo sugli abbattimenti?

Il 2021 è stato un anno da record con 2.493 capi di cinghiale abbattuti tutto compreso, ciò significa caccia “alta”, caccia invernale e permessi di tiro notturno. Si tratta - lo ripeto - di un record assoluto. Quest’anno, con la caccia in corso, siamo in prospettiva sotto di un 20%. Ragioniamo sui 2 mila capi. L’efficacia della caccia invernale - è bene rimarcarlo - è data unicamente dalla neve. Se dovesse nevicare, come sembra, nei prossimi giorni, l’efficacia della caccia invernale aumenterebbe notevolmente. Il meteo invernale rappresenta dunque un fattore invernale dentro i meccanismi della caccia invernale.

Esiste anche da voi il problema degli investimenti? Su questo lato del confine, gli impatti con la fauna selvatica sono un tema di stretta attualità. Un buon numero di questi impatti avviene peraltro in diversi Comuni a ridosso del confine.

Lo rubrichiamo come un problema marginale. Non abbiamo dati aggiornati per un semplice motivo e cioè che esiste una parte di incidenti che non viene segnalata. Ragioniamo comunque su numeri ridotti. Negli anni peggiori non abbiamo raggiunto i duecento casi, che però riguardano anche - ad esempio - lepri e tassi e non solo cervi, cinghiali e caprioli. In media, in anni tranquilli, non raggiungiamo i cento casi.

Nel frattempo, Berna ha dato il via libera all’abbattimento di un lupo. Tema che tiene banco anche nelle nostre zone di confine, su tutte Val Cavargna e Valle Albano.

Mi aspettavo la domanda. Sono attivi tre branchi in Ticino. Il branco della Valle Morobbia, che sconfinava da voi, si è trasferito in Val Colla. Le ultime immagini parlano di cinque cuccioli al seguito. C’è un secondo branco attivo tra la Valle Onsernone e la Valle di Bosco Gurin, altro branco transfrontaliero. E c’è un nuovo branco - scoperto in “corso d’opera” - in Valle di Blenio. La competenza è federale. Ci sono criteri matematici, che poggiano su basi legali, per l’abbattimento dei lupi. So che il tema è sentito anche da voi. Il nostro concetto è semplice. Se un lupo preda un numero ben determinato di casi in un lasso di tempo ben definito si può procedere con l’abbattimento. Punto. La nostra legislazione non lascia spazio a fraintendimenti.

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