Frontalieri, non è tutto oro: «Tendenza al ribasso, in Ticino gli stipendi sono più bassi rispetto al resto della Svizzera»

Intervista L’apporto dei lavoratori che arrivano dall’Italia sempre più determinante. Eppure non si traduce in busta paga Andrea Puglia, responsabile del sindacato Ocst, spiega il dietro le quinte: «Servono i contratti collettivi di lavoro»

Il mercato del lavoro svizzero si palesa ai nostri occhi (e non solo) come una terra promessa fatta di salari alti ed occasioni di lavoro continue, come testimonia il numero sempre più elevato di frontalieri italiani attivi in Canton Ticino. Per comprendere meglio i singoli elementi che compongono questa istantanea dalle molte sfumature abbiamo intervistato Andrea Puglia, responsabile dell’Ufficio frontalieri del sindacato Ocst.

In che misura incide in questa fase post-pandemia la manodopera frontaliera nel mercato del lavoro in Canton Ticino?

«L’apporto dato dai frontalieri è sempre più impattante. Nel 2021 gli occupati residenti in Canton Ticino erano 164.443 mentre i frontalieri 73.379. Quest’ultimi sono ora ulteriormente cresciuti arrivando (al 30 settembre) a quota 77.732. Il dato va tuttavia soppesato. Non tutti questi soggetti sono sempre attivi contemporaneamente sul territorio, in quanto tra essi figurano circa 14 mila lavoratori interinali (cioè assunti tramite le agenzie per il lavoro), molti dei quali in realtà compiono in modo intermittente brevi missioni di lavoro con lunghe pause tra un mandato e l’altro. Inoltre nel dato rientra anche un numero indefinito di permessi di lavoro di tipo “G” (frontalieri appunto) che hanno terminato il proprio contratto, ma non hanno fatto “l’annuncio di uscita” dalla Svizzera. Il dato complessivo resta comunque impressionante».

Quali sono i livelli retributivi presenti in Ticino?

«L’afflusso costante di manodopera frontaliera impatta molto anche sull’andamento dei salari in Ticino, generando spesso un fenomeno di dumping e quindi una tendenza al ribasso delle medie retributive in molti settori. Il confronto sui salari tra il Canton Ticino e il resto della Svizzera è infatti impietoso. Nel 2020 il salario mediano in Canton Ticino era di 5203 franchi (espresso su dodici mensilità), mentre nel resto della Svizzera era pari ad oltre 6 mila franchi. Si aggiunga poi che i salari ticinesi negli ultimi dieci anni sono cresciuti del 3,7% contro un +7,2% della Svizzera interna. Scorporando il dato ticinese, vediamo anche che i frontalieri percepiscono a loro volta in media il 25% del salario in meno rispetto ai residenti. La crescita dei salari dei frontalieri è poi più lenta di quella dei ticinesi attestandosi sotto il 2%. Insomma, un problema non da poco».

A cosa si deve questo differenziale di salario tra frontalieri e residenti?

«Un celebre studio di Maurizio Bigotta, responsabile del settore economia dell’Ufficio cantonale di Statistica, ha analizzato a fondo il problema e ne consiglio a tutti la lettura integrale. Si intitola proprio “Il differenziale salariale tra residenti e frontalieri in Ticino”. Tale dossier dimostra come questo scarto del 25% sia spiegabile solo in parte con fattori oggettivi (e quindi “giustificabili”), quali il basso livello di formazione di alcuni lavoratori e il tenore dei settori in cui operano. Ci sono ad esempio oltre 16 mila frontalieri che lavorano in aziende manifatturiere a basso valore aggiunto che da sempre impiegano manodopera estera. Questa componente giustifica però solo un 13% circa del differenziale salariale. Vi è poi quindi un 12% che non è assolutamente spiegabile con questi elementi e che è legato a misure sleali di risparmio sui salari dei frontalieri da parte delle imprese che approfittano dei bassi livelli retributivi presenti in Italia per fare offerte al ribasso rispetto agli standard di mercato svizzeri».

Quali soluzioni si possono attuare per eliminare una simile disparità?

«L’unica misura che si è dimostrata davvero efficace è l’introduzione di nuovi Contratti Collettivi di Lavoro (Ccl), i quali per loro natura fissano dei salari contrattati dalle parti sociali in linea con i bisogni del mercato e senza differenza tra frontalieri e residenti. Non è un caso che il comparto più falcidiato dal fenomeno del dumping salariale sia il Terziario impiegatizio dove storicamente il Contratto Collettivo di Lavoro non è di casa. È proprio in questo macro-settore che il nostro sindacato sta spendendo molte energie per intercettare i datori di lavoro e sottoscrivere nuovi Ccl. Laddove è stato fatto, la situazione è migliorata e di molto. Si pensi ad esempio al settore degli studi di architettura e ingegneria. Come controprova si guardi al fatto che laddove sono presenti dei CCL storici le situazioni di dumping sono pressoché inesistenti come ad esempio nell’edilizia e nel settore sanitario”.

La nuova legge sul “salario minimo”, introdotta dal Canton Ticino nel dicembre del 2021, è bastata a risolvere il problema?

«Nient’affatto. La legge sul salario minimo è nata con il solo scopo di contrastare la povertà, introducendo un salario minimo orario di circa 19,50 franchi lordi. Di certo non basta per arginare il pericolo del dumping salariale nel settore Terziario, dove troviamo ancora personale frontaliero altamente qualificato con salari di poco al di sopra del minimo suddetto. Un vero scandalo che genera una concorrenza sleale con il personale residente, il quale necessita di salari ben più alti per vivere e che siano in linea con i costi sostenuti per la propria formazione e con le proprie legittime aspirazioni. A questo si aggiunga che in virtù del caro vita i premi della “Cassa malati” sostenuti dai residenti in Svizzera sono cresciuti di almeno il 3%. Di nuovo laddove il sindacato ha firmato un Contratto Collettivo di Lavoro si sta contrattando l’adeguamento dei salari in base a tale caro vita. Nel sottobosco dei settori privi di Ccl questo invece non sta avvenendo, se non in sporadiche aziende attente alla propria responsabilità sociale. Insomma, il salario minimo è solo un punto di partenza di certo non di arrivo».

Il valore del franco è attualmente molto forte e sta contribuendo a guadagni inattesi per i frontalieri. Cosa ne pensa?

«Si tratta di un assunto concettuale molto pericoloso. Quando il franco si rafforza sull’euro il potere di acquisto dei frontalieri cresce, tuttavia il salario di base resta sempre quello espresso in franchi.

Ne consegue che ad esempio un frontaliere che percepisce il salario minimo matura dei contributi pensionistici e assicurativi irrisori sempre calcolati sul salario previsto dal contratto. Il problema dei salari dei frontalieri va quindi risolto a monte con misure di altro tipo, non certo appellandosi alle fluttuazioni della moneta».

Quali altri criticità stanno interessando il mercato del lavoro ticinese a livello contrattuale?

«In controtendenza rispetto agli auspici fin qui espressi, assistiamo purtroppo alla messa in discussione di contratti collettivi di lavoro storici. Cito il caso dell’edilizia e dei rami affini, un settore nel quale il Contratto Collettivo di Lavoro nazionale ha sempre garantito ottimi salari e condizioni di lavoro dignitose. Ebbene, ora vi è il serio pericolo che questo Ccl non venga rinnovato con la scadenza di fine anno. La società degli impresari costruttori pone infatti come condizione per il rinnovo una totale flessibilità sugli orari di lavoro. La loro idea è quella di fissare un tetto annuale di ore che potranno poi essere spartite in singole giornate fino a dodici ore di lavoro per turno. Siamo alla follia. Si parla tanto di ridurre le morti sul lavoro e gli infortuni, salvo poi rinnegare tutto in sede negoziale. Si tratta di una condizione che il sindacato non può accettare. È una questione di dignità umana e di sicurezza, non certo di ideologia».

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