I cinghiali sono sempre più numerosi e il Ticino sceglie la linea dura per fermare l’invasione

Le strategieL’aumento della specie coincide con il record delle catture. Eppure non sembra bastare: nel 2023 caccia aperta anche a giugno e luglio

«Dopo alcuni anni contrassegnati da abbattimenti relativamente contenuti, per la caccia al cinghiale si è osservata una crescita costante. Nell’ultimo quinquennio si è osservata in particolare una vera e propria esplosione dei capi cacciati, tanto da raggiungere un nuovo record per la stagione venatoria 2021/2022 di 2637 capi».

È quanto scrive il Dipartimento ticinese del Territorio, rimarcato che «il costante aumento delle catture è stato accompagnato da numerosi effetti negativi legati all’aumento di questa specie».

Contromisure

In particolare, il riferimento è «ai sempre maggiori danni che questi animali causano alla cotica erbosa di campi e pascoli, con conseguente aumento dei risarcimenti che annualmente toccano (e a volte superano) i 300 mila franchi». Da qui le contromisure che andremo a raccontare nel dettaglio, con una puntualizzazione e cioè che la situazione ticinese è speculare a quella di molte zone del nostro territorio, a cominciare dal comprensorio Lario-Intelvese, che confina con il Ticino.

«Analizzate le possibili soluzioni e date le impellenti necessità di contenere le popolazioni di cinghiale», il Dipartimento del Territorio ha così annunciato che «ci sarà una estensione della stagione venatoria al cinghiale per i mesi di giugno e luglio, a cominciare già dal 2023». L’accesso alla caccia aperta in questi due mesi, giugno “in spazi aperti” e luglio “da postazione fissa in bosco”, sarà su iscrizione nominale e avranno accesso unicamente coloro che hanno acquistato un’autorizzazione alla caccia invernale al cinghiale 2022. Non sarà riscossa un’ulteriore tassa di iscrizione, data la situazione di piena emergenza, certificata anche dai numeri, che hanno rivelato come «nonostante la caccia sia praticata su un lungo periodo (da settembre a fine gennaio), annualmente sono oltre 1200 le richieste per sopralluoghi di danni pervenute all’Ufficio per circa 600 permessi d’abbattimento notturno che vengono rilasciati», con le popolazioni di cinghiali in costante crescita, per diretta conseguenza, danni in aumento.

L’altra sottolineatura del Dipartimento cantonale del Territorio riguarda la peste suina africana. E questo perché «il rischio di contagio per la popolazione ticinese di cinghiale è altissimo poiché le vicine regioni italiane hanno registrato i primi casi di questa malattia, la quale ha gravi conseguenze anche dal punto di vista economico poiché è trasmissibile ai suini domestici». Dunque, la strategia di prevenzione e di lotta di questa malattia indica come prima misura il contenimento e la riduzione delle popolazioni di cinghiale, affinché in caso di comparsa di questa patologia, la velocità di propagazione in natura sia (almeno in parte) ridotta. La peste suina è sicuramente un elemento di forte criticità che dovrà essere tenuto nella debita considerazione, anche se al momento - almeno nei comprensori comaschi - non risultano casi accertati.

Peste suina

Nel nome di quelle similitudini c’è una dichiarazione del Dipartimento ticinese che suona familiare anche alle latitudini comasche e cioè che «gli strumenti messi in campo sino ad oggi hanno mostrato dei limiti oggettivi e per venire incontro alle mutate condizioni, si deve sono state analizzate nuove strategie al fine di incrementare le catture». Questo per dire che i due territori - ricordando che ad esempio la Val d’Intelvi condivide con il Ticino il Parco del Generoso - insistono su due Stati diversi, ma che condividono le stesse problematiche anche in ambito venatorio. Prova ne sia, per dirla ancora con il Dipartimento del Territorio di Bellinzona, che «gli spunti per nuove proposte gestionali vengono da un lato da alcuni Cantoni svizzeri e dall’altro da quanto fatto da alcune nazioni confinanti, a cominciare dall’Italia».

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