Nucleare e dibattito in Svizzera: «È giusto tornare a parlarne»

L’intervista Il consigliere nazionale Alex Farinelli e il dibattito che si è improvvisamente riaperto sul fronte energetico«La Svizzera non ha mai chiuso del tutto le porte. Ma ogni decisione dovrà passare dai nostri cittadini»

«Giusto tornare a parlare di nucleare», fa notare con la consueta pacatezza Alex Farinelli, rieletto a Berna in Consiglio nazionale in quota Plr e protagonista di un buon testa a testa anche per un seggio agli Stati, la Camera “alta” del Parlamento svizzero. Dunque il Governo di Berna ha deciso di rompere gli indugi, aprendo al nucleare proprio su input di un postulato del Partito Liberal Radicale.

Se l’aspettava questa nuova apertura del Governo sul nucleare sei anni dopo il “no” delle urne a riaprire questo dibattuto e delicato argomento?

In realtà, in Svizzera non si è mai chiusa del tutto la porta al nucleare. E’ stato deciso il divieto di costruzione di nuove centrali, ma resta il fatto che le centrali oggi attive - quattro - potranno continuare la loro attività fintanto che saranno ritenute sicure. Dunque non esiste una data di scadenza, per utilizzare una dizione efficace. Il passo ulteriore riguarda la richiesta di un rapporto al Consiglio federale di valutare quali misure possano essere intraprese per far sì che la vita e l’attività delle attuali centrali possa durare ancor più a lungo. In parallelo sta venendo avanti un dibattito politico sul futuro del nucleare.

Dibattito che secondo una consuetudine svizzera avrà il voto popolare quale atto conclusivo.

Di sicuro, si passerà anche dal voto popolare. Il dibattito politico è incentrato sul ripensamento o meno rispetto al divieto di costruire nuove centrali nucleari sul territorio federale. L’obiettivo è avere un quadro istituzionalmente dettagliato su questa ipotesi, il che non significa necessariamente dare nuovi permessi per costruire centrali nucleari. Si tratta di due distinti quesiti ovvero nell’immediato quali misure possono essere adottate per garantire lunga vita alle attuali centrali nucleari e per il futuro capire se esistono i presupposti per realizzare nuovi impianti.

La ripresa di questo dibattito ha a che vedere con gli spettri legati alle difficoltà di approvvigionamento energetico emerse lo scorso anno a seguito del conflitto ucraino?

Sicuramente c’è anche questa componente che ha un suo ruolo ben definito. Lo scorso anno si è passati attraverso una “crisi del gas” che poi ha interessato anche gli approvvigionamenti di energia elettrica e quelli di petrolio, il tutto il seguito del conflitto ucraino. Va però detto che anche il nucleare rappresenta una fonte energetica che dipende dall’estero e questo perché in Europa non esistono miniere di uranio. In questo contesto, rimarco che insieme al dibattito sulle energie rinnovabili si è aperto anche uno spazio di dibattito sul nucleare. Vedremo dove porterà questo dibattito. La Svizzera valuterà in autonomia come mettere a regime questa opzione.

Con l’inverno ormai iniziato - anche se non ancora dal punto di vista del calendario - si torna a parlare di rincari energetici. Tema che continua a creare apprensione?

Rispetto allo scorso anno il tema legato all’energia nel suo complesso si è un po’ assestato. Soprattutto nei mesi immediatamente successivi al conflitto ucraino si è dovuto fare i conti con il tema dei rincari. Adesso la situazione sembra essersi stabilizzata. Cito, quale esempio calzante, il costo del carburante, che è tornato dentro parametri di normalità. La verde oggi è attorno al franco e 72 o al franco e 75 al litro dopo aver raggiunto e superato ampiamente i 2 franchi al litro. Ora però serve una maggiore sicurezza nell’approvvigionamento nel medio e lungo termine. Per questo ci si interroga sul da farsi. Il mondo evolve. Pensiamo ad esempio alla mobilità elettrica per le auto, che sta prendendo sempre più piede. Questa continua evoluzione va accompagnata da scelte strategiche per le fonti energetiche.

E poi si ripropone il “caso Ticino” (ne abbiamo dato conto lo scorso anno proprio su “Frontiera”), che quanto ad approvvigionamento del gas dipende in toto dall’Italia e dal territorio comasco. Sempre dell’idea che non possa affacciarsi l’ipotesi di “incidenti diplomatici” e dunque di un taglio alle forniture nel corso dell’inverno?

Ripeto, la situazione mi sembra molto più tranquilla rispetto a dodici mesi or sono, ricordando che nel 2022 non eravamo poi così pronti ad affrontare una situazione nuova e per nulla ipotizzabile. Il conflitto ucraino è scoppiato in febbraio e l’onda lunga delle ripercussioni a livello internazionale è venuta avanti con tempo. Aggiungo un secondo importante dettaglio e cioè che prima l’Europa era tremendamente dipendente dal gas russo, mentre ora lo è molto meno. Quanto alla dipendenza del Ticino dall’Italia per il gas, ritengo che i rapporti di buon vicinato ci mettano al riparo da possibili sorprese. Con l’Italia, nonostante qualche incomprensione, abbiamo ottime relazioni. E se non ci sono stati problemi nella fase più acuta della crisi post invasione ucraino non vedo perché debbano esserci questo inverno.

E’ opportuno, visto che il dibattito sul nucleare è ripreso anche in Italia, che i due Paesi, peraltro confinanti, intraprendano almeno in parte un percorso comune? In fondo c’è una questione di vicinanza territoriale che non può passare sotto traccia, considerato che la vostra centrale nucleare più vicina dista circa 250 chilometri da noi.

Credo proprio che non esistano i presupposti per dar corso ad un dibattito comune. Ogni Paese deve analizzare la propria realtà e decidere di conseguenza. Applicando questo principio di dialogo diretto, allora tutti i Paesi dovrebbero interloquire con la Francia, che oggi conta una cinquantina di reattori nucleari e che confina sia con la Svizzera che con l’Italia. Non vedo dunque un dibattito comune. La politica energetica di ciascun Paese deve essere il filo conduttore per il dibattito interno. Non esistono speculazioni su questo argomento. La sicurezza è la prima tra le priorità di tutti gli Stati che ospitano centrali nucleari.

Favorevole o contrario al nucleare, per concludere questa ampia riflessione su un tema che sembra appassionare anche l’elettorato svizzero, stando ai primi sondaggi?

Favorevole a discuterne. Non nego che un ragionamento sulla costruzione di nuove centrali nucleari vada affrontato. Dopodiché va rimarcato che non si tratta di una soluzione da qui ai prossimi 15-20 anni, perché la progettazione e la costruzione di una centrale nucleare - ammesso e non concesso che ci sia la volontà politica di realizzarla, senza dimenticare il tema dei fondi - durano questo lasso di tempo. In meno di 20 anni una centrale nucleare non può essere realizzata. Questo è certo. Pertanto bisognerà trovare nel frattempo altre soluzioni percorribili.

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