Anche lo Spazio è circolare. Le nuove regole europee per un futuro sostenibile

L’intervista Catherine Doldirina, general counsel della comasca D-Orbit. «Cambio di approccio, altrimenti l’industria spaziale si autodistruggerà»

Anche tra le stelle è il momento dell’economia circolare. Parla Catherine Doldirina, General Counsel di D-Orbit, leader di mercato nei settori della logistica spaziale e dei servizi di trasporto con sede a Fino Mornasco.

L’industria spaziale europea sta vivendo un momento di fermento, dopo la proposta di Regolamento EU Space Act. Qual è il vostro punto di vista?

Tutti e tre i pilastri del Regolamento ci riguardano, ma è sul terzo pilastro - quello sulla sostenibilità - che mi vorrei concentrare. Quando abbiamo fondato D-Orbit nel 2011 e abbiamo iniziato a sviluppare i nostri sistemi di rimozione dei detriti spaziali con il finanziamento Horizon 2020, eravamo spesso invitati a tavole rotonde su queste tematiche. Le nostre posizioni venivano accolte come ben intenzionate, ma fondamentalmente idealistiche e sostanzialmente irrealizzabili. Noi abbiamo sempre insistito che la sostenibilità nello spazio fosse una necessità pragmatica. La nostra idea di sostenibilità è “conservazione dell’industria spaziale” in un contesto di risorse orbitali limitate e sempre più congestionate.

Il nuovo Regolamento è coerente quindi con la vostra visione?

Sì, c’è in particolare un passaggio che vorrei citare: “adottando i principi dell’economia circolare, l’industria spaziale dovrebbe iniziare a implementare pratiche più sostenibili già note per la loro efficacia, e al contempo favorire l’innovazione verso nuovi prodotti a ridotto impatto ambientale” La proposta parla anche di promuovere la creazione di nuovi segmenti di business come “active debris removal, on-orbit servicing, assembly and manufacturing,” proposte che fanno parte della nostra roadmap fin dal principio. Siamo soddisfatti che ci sia un riconoscimento istituzionale: la sostenibilità spaziale non è la volontà di attori singoli, ma è una condizione essenziale per la sopravvivenza dell’industria. Con oltre 11.000 satelliti già in orbita e altri 50.000 previsti nel prossimo decennio, più i 128 milioni di frammenti di detriti già circolanti, la matematica è semplice: o sviluppiamo un approccio circolare allo spazio, o l’industria spaziale si autodistrugge.

L’EU Space Act propone di introdurre anche nuove regole per il tracciamento e la rimozione dei detriti spaziali. Cosa cambierebbe in concreto?

L’Europa ha già compiuto passi avanti con l’EU Space Surveillance and Tracking, che dal 2014 coinvolge diversi Stati Membri nel monitoraggio degli oggetti spaziali attraverso radar terrestri, telescopi ottici e centri di elaborazione dati. Questo sistema fornisce già oggi servizi critici come collision avoidance, previsioni di rientro atmosferico e individuazione di frammentazioni orbitali. I requisiti dell’EU Space Act, a condizione dell’implementazione idonea ed efficace, rappresenteranno un’evoluzione di queste capacità già esistenti. La nuova normativa imporrà standard più rigorosi per il tracking di oggetti spaziali, obblighi di condivisione dati tra operatori, e requisiti specifici per la progettazione di satelliti che facilitino il loro tracciamento e, eventualmente, la loro rimozione. Questo creerà un ecosistema più integrato ed efficiente, dove l’EU SST potrà operare con dati più completi e standardizzati.

Ci sarà anche una ricaduta economica?

Sì, stiamo parlando di proteggere infrastrutture che oggi valgono centinaia di miliardi di euro e che sono essenziali per i servizi come navigazione GPS, telecomunicazioni, meteorologia e osservazione terrestre. Ogni collisione evitata grazie a un tracciamento più efficace significa non solo un satellite salvato, ma anche la continuità di servizi che impattano direttamente l’economia terrestre.

Come si inseriscono in questo contesto le attività di D-Orbit? Quali soluzioni proponete per un’industria più sostenibile?

La nostra piattaforma GEA, che stiamo sviluppando in collaborazione con ESA attraverso la missione RISE, è proprio il tipo di soluzione che il Regolamento vuole incentivare. GEA dimostrerà la capacità di estendere la vita operativa dei satelliti attraverso servizi di manutenzione, riparazione e riposizionamento in orbita, trasformando quello che oggi è un modello “usa e getta”. Questo tipo di veicoli ci permetterà di costruire un’infrastruttura capace di stabilire e mantenere la cosiddetta “orbital clearance”. In un certo senso, stiamo costruendo i “servizi di manutenzione stradale” per le più importanti orbite terrestri.

Quest’anno testerete anche un’altra innovazione che potrebbe ridurre gli impatti ambientali della logistica spaziale, il sistema di propulsione a base acqua di Pale Blue. Come funziona e quando si svolgeranno i test?

La propulsione ad acqua rappresenta un’evoluzione molto interessante. Il principio di funzionamento è relativamente elegante: si utilizza un campo magnetico per accelerare molecole di acqua elettricamente cariche - essenzialmente plasma di vapore acqueo - che vengono poi espulse ad alta velocità attraverso un thruster. È lo stesso principio alla base di altri sistemi di propulsione elettrica, ma con l’acqua come propellente invece dei gas tradizionalmente utilizzati come xeno o kripton. Il prototipo di Pale Blue è integrato nella nostra diciottesima missione, chiamata Space Bound, che è appena stata lanciata a giugno. Sarà interessante vedere come si comporta in condizioni operative reali, specialmente in termini di efficienza e affidabilità nel lungo periodo.

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