L’imprenditore Elia Bonacina: «I giovani vanno compresi e in azienda si devono sentire a casa»

Elia Bonacina, 33 anni, al vertice della storica azienda di Lurago specializzata nei mobili in giunco e midollino. In dieci anni da dieci a cento collaboratori: «I neolaureati? Per prima cosa vogliono vedere il report di sostenibilità»

Da dieci a cento dipendenti in dieci anni: l’ascesa di Bonacina, storica azienda di Lurago d’Erba, è stata possibile grazie anche a un’attenta ricerca di personale, giovane, creativo e con capacità artigianali.

Elia Bonacina, 33 anni, amministratore delegato e presidente dell’azienda, racconta come ingaggiare e motivare una squadra di lavoro. Non è solo questione di vicinanza anagrafica, ma certo l’appartenenza alla nuova generazione lo aiuta.

Come è riuscito a ricostruire il personale di Bonacina, artigiani inclusi?

Non ho mai fatto fatica un giorno a trovare chi lavora con me. Molti dei collaboratori hanno meno di 25 anni. Sono in disaccordo con il pregiudizio ricorrente che ritrae i giovani come persone che non hanno voglia di impegnarsi e che sia per questa ragione che non sono disponibili e non si trovano.

Però la difficoltà a reperire personale è estesa e trasversale: se non è questa, quali sono le ragioni?

Il grande problema è il cambio generazionale: siamo sempre fuori tempo. Il passaggio del testimone viene fatto tardi nelle aziende italiane, mentre è un passaggio che va preparato con cura e in anticipo. Senza un passaggio del testimone preparato bene i manager e gli imprenditori fanno fatica a mettersi in sintonia con le aspirazioni, i desideri e i punti di vista di quelli che sono i loro futuri collaboratori più giovani. Non li intercettano facilmente perché non li capiscono e soprattutto non hanno ancora compreso quanto l’aspetto economico sia solo uno degli elementi di attrattività di un’azienda.

Cosa cercano i neo assunti?

Quando incontro un ventenne laureato al Politecnico o alla Cattolica per prima cosa chiede di poter vedere il report di sostenibilità e verifica che i valori e la vision dell’azienda corrispondano davvero. È interessato al fatto che non si tratti di Greenwashing e quindi osserva cosa si fa e come. Quando ha appurato che si rispettano quei criteri Esg a cui tiene, allora diventa aziendalista e votato al progetto. In questo senso i giovani sono molto più idealisti di un tempo. Ma anche meno disposti a lavorare sempre e comunque a prescindere dalle condizioni come accadeva fino a qualche anno fa. I giovani non sono disposti a venire in azienda se hanno un capo non qualificato, se non c’è rispetto, se non c’è cura dell’ambiente anche di lavoro. È necessario cambiare il modello, per fortuna.

Qual è quindi il vostro nuovo modello di azienda accogliente?

Oltre ad aver fatto delle scelte di sostenibilità come l’utilizzo di pompe di calore e di energie rinnovabili, prendendo spunto dalle aziende della Silicon Vally, in Bonacina abbiamo un vero ristorante, non una mensa, con un menù che si attiene a criteri di sostenibilità e di riduzione dell’impatto anche nella scelta dei cibi. Offriamo due pause del ciclo produttivo, una a metà mattina e al pomeriggio, incluse nell’orario lavorativo, e sono a disposizione torte e succhi di frutta. Infine gli ambienti sono accoglienti, come a casa. Anche, molto semplicemente, con una temperatura adeguata in inverno. La vecchia scuola brianzola teneva i capannoni magari a 10 gradi, ma oggi un giovane può recuperare il bilancio dell’azienda on line e se vede un utile di qualche decina di milioni di euro ma poi si tiene al freddo il capannone dove lavora, se ne va.

Sono però spese che incidono sul bilancio, no?

All’inizio anch’io ero influenzato da questo approccio molto severo, rigido. Un giorno ho tirato una riga sul bilancio e ho cambiato logica. Ci sono spese che incidono pochissimo sul bilancio in confronto al peso di altro: personale collaborativo, buone strategie commerciali, apertura verso l’innovazione. Eppure basterebbe poco, piccole cose, come qualche grado in più di temperatura negli spazi di lavoro per trasmettere un messaggio di cura e attenzione verso le persone.

Come cultura e mentalità siamo molto orientati verso la produzione. Infatti i francesi vendono meglio di noi, mentre noi siamo produttori migliori, ma poco capaci di adeguarci da un punto di vista commerciale.

A proposito di capacità di vendere: qual è la direzione che sta prendendo il vostro sviluppo commerciale?

Siamo molto concentrati su Europa e Stati Uniti, come gran parte del design e del lusso e moda italiani. È in questi mercati che anche le grandi aziende, con l’esclusione forse di alcuni, pochissimi, marchi del lusso, fanno i principali fatturati.

Si parla molto di Asia e Africa come possibili nuovi sbocchi per i nostri prodotti, tra i mercati emergenti ci sono anche i paesi latini, però si tratta di numeri che davvero devono ancora crescere.

Se pensiamo che la Cina vale per tutto il comparto 400 milioni di fatturato mentre l’America vale un miliardo, capiamo c’è ancora molta strada da fare. Per cui prevedo che almeno per un quinquennio Nord America ed Europa saranno ancora i nostri interlocutori e per i mercati emergenti credo che servirà del tempo anche per costruire, come premessa indispensabile, una cultura e una conoscenza più precisa dei prodotti italiani. Come in tutte le cose, è necessario un periodo di preparazione del terreno, diciamo una semina.

Quali sono le strategie di Bonacina per crescere all’estero?

Ci aspettiamo un maggiore sviluppo attraverso gli studi di architettura che sono il vero nuovo driver per il nostro settore, mentre il rivenditore perde progressivamente d’importanza. Si preferisce, in genere, lavorare con gli architetti, per avere una collocazione specifica nel progetto, conoscere la committenza finale e avere più margine. Utilizzare in modo esclusivo solo la distribuzione può essere un limite.

Bonacina non sarà al Salone del Mobile.Milano, come mai?

Dovremmo chiamarlo il Festival del design perché è il Fuorisalone che acquista sempre più forza. Purtroppo fiera e fuori fiera ancora non si fondono in un unico dialogo, sarebbe l’ideale. Inoltre credo che si dovrebbe valorizzare molto lo specifico del made in Italy che è l’artigianato e le micro imprese d’eccellenza che lo rappresentano. Tutta la filiera del distretto dell’arredo si basa sulle abilità di artigiani minuziosi e incredibili che hanno fatto e continueranno a fare la storia del nostro territorio e a renderlo unico.

Come parteciperete al Fuorisalone?

Saremo a Milano durante la design week per la celebrazione del 135 anniversario di Bonacina. Come attività avremo un allestimento degli spazi a Villa Mozart, con Fondazione Cologni, per Doppia Firma e Serapian.

Saremo con Colefax & Fowler in via Palermo per un take-over delle vetrine con i nostri prodotti delle collezioni Contemporanei, Grandi Maestri, Decor.

Infine in Triennale parteciperemo alla retrospettiva su Salone Satellite con il lancio di un nuovo prodotto Bonacina.

© RIPRODUZIONE RISERVATA