Ecco le motivazioni della condanna a nove anni di carcere per Riella

Consiglio di Rumo Depositate le motivazioni; contro l’imputato ci sono elementi «plurimi e concordanti»

Una rapina «non pianificata», frutto di una «azione estemporanea tipica di un soggetto che aveva appena assunto stupefacenti». Un colpo su cui l’imputato non ha alibi, in cui è certo che si «trovava nei pressi dell’abitazione delle vittime», in un «orario compatibile» e in cui fu visto anche «allontanarsi in fretta, con modalità di chi si è reso responsabile di un grave delitto».

I giudici del Collegio di Como, presieduto da Valeria Costi, hanno depositato le motivazioni che hanno portato Massimo Riella alla condanna a 9 anni di pena per la rapina ai danni di due anziani di Consiglio di Rumo (circa 800 euro il bottino) il 15 ottobre 2021. Un uomo, con il passamontagna e giacca militare, era entrato in casa armato di mannaia, passando da un balcone sorprendendo le due vittime. Un gesto atletico, perché comportava l’arrampicarsi su una rampa di bancali di legno per nulla stabile, con un ulteriore salto da fare per raggiungere il balcone. Azione che avrebbe potuto essere compiuta solo da una «persona capace di doti atletiche» come quelle di Riella, che tutti hanno imparato a conoscere dopo la scalata del tetto del carcere del Bassone e con l’evasione del 13 marzo 2022.

Quel giorno Riella, 50 anni di Gravedona, dopo aver ottenuto di pregare sulla tomba della madre, scappò alla polizia penitenziaria lanciandosi nel bosco e scomparendo per mesi. «Voleva andare in Madagascar in bicicletta», hanno rivelato i giudici nelle motivazioni depositate nei giorni scorsi. I giudici invitano poi a non dimenticare come nell’appartamento dei due anziani fu trovata una mannaia, sulla quale c’era il Dna di Riella, come su un indumento di Riella fu trovato il Dna di una delle vittime.

Insomma, per i giudici gli elementi a suo carico sono «plurimi, gravi e precisi» oltre che «concordanti». I magistrati hanno poi sottolineato altri aspetti, come la difesa attuata da Riella (che ha sempre negato: «io le mie condanne le ho sempre pagate, ma quello che non ho fatto non lo pago», disse in aula) che si è strutturata solo in fase dibattimentale dopo mesi di silenzi «modellandosi palesemente su quelle che erano le risultanze» emerse.

L’imputato, difeso dall’avvocato Roberta Minotti, aveva invece puntato il dito sull’orario della rapina – non ritenendo attendibile quanto sostenuto dalle vittime – e sull’altezza presunta del rapinatore, che non combaciava con quella di Riella. Secondo i giudici, tuttavia, il primo racconto delle vittime era perfettamente corrispondente, mentre quello fatto poi in incidente probatorio avvenne dopo mesi, con persone anziane ricordando infine che «chi subisce una aggressione violenta e repentina difficilmente focalizza particolari dell’aggressore».

Riella, non va dimenticato, fu anche ripreso da una telecamere nei pressi della casa dei rapinati.

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