Il saluto a Daniele, vittima sul lavoro. Il ricordo: «Era davvero facile essere suo amico»

Tremezzina Tantissime persone ai funerali dell’operaio morto a causa di una caduta mentre lavorava a Sala Comacina Il ricordo di don Roberto, parroco di Montemezzo

Già un’ora prima della cerimonia sul sagrato della parrocchiale c’era già almeno cento persone. Per l’ultimo saluto a Daniele Caraccio, il cinquantacinquenne operaio deceduto sul lavoro martedì scorso in una cantiere edile a Sala Comacinadopo una caduta da tre metri mentre disarmava un “cassero” nel cantiere, è arrivata tanta gente della Tremezzina, dove l’uomo abitava. Ma anche l’intera comunità di Montemezzo, suo paese natio.

Presente anche il datore di lavoro, Dino Curti, che lo conosceva da oltre trent’anni e non ha nascosto la propria commozione. Il numero dei partecipanti è aumentato, ma il silenzio e il raccoglimento sono rimasti gli stessi, quasi irreali. Sull’altare, assieme al parroco, don Ferruccio Ortelli, e al suo collaboratore, don Mario Malacrida, c’era anche don Roberto Vaccani, da oltre quarant’anni parroco di Montemezzo. E proprio a lui è toccato il compito di ricercare, nell’omelia, parole di conforto per i famigliari e di affettuoso ricordo della vittima: «Quando una persona muore sul lavoro bisogna fermarsi – ha esordito il sacerdote – Una volta si diceva “bisogna togliersi il cappello”. E oggi, mentre siamo qui in tanti per l’ultimo saluto a Daniele, voglio rivolgermi innanzitutto ai suoi colleghi di lavoro, muratori, geometri e imprenditori, che in questi ultimi cinquant’anni hanno saputo trasformare, con un lavoro prezioso, le abitazioni dei nostri paesi, un tempo anguste e malandate, oggi capienti e confortevoli».

E ancora: «Poi penso ai tanti amici: era facile essere amici di Daniele, persona davvero socievole, accomodante, di compagna; credo proprio non abbia mai avuto un nemico in vita. E infine mi rivolgo ai suoi famigliari: la famiglia della vittima, a partire dai genitori, è sempre stata sana, bella e da apprezzare; Daniele, cresciuto tra buoni insegnamenti, sobrietà e fatica, era come un fiore – ha proseguito don Roberto facendo riferimento alle letture – Era un giglio, non di giardino o di serra, ma di campo, spontaneo e naturale. E sono certo che fratelli e cognati, ora, sapranno essere vicini a sua moglie».

Il sacerdote ha quindi ricordato un episodio risalente al 1982: «Lui era un ragazzino e d’estate saliva all’alpe Gigiai ad accudire gli animali. Un giorno andai a trovarlo e la prima cosa che mi chiese fu com’era andata la partita dell’Italia ai mondiali. Conoscendo bene la sua passione per il calcio, gli avevo comprato la Gazzetta dello sport, che per lui fu un immenso regalo. Daniele, grazie all’educazione ricevuta, aveva una scala dei valori ben precisa a cui faceva riferimento, che non gli impediva di coltivare le sue passioni».

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