Riella, la rete di complici del fuggitivo tra soldi, amiche e falsari

Gravedona Prima di abbandonare il Comasco a metà giugno il fuggitivo avrebbe ricevuto migliaia di euro. Tradito dalle telefonate partite da due utenze serba e montenegrina e ricevute da una donna dell’altolago

Di Massimo Riella si diceva che avrebbe potuto nascondersi anni nei suoi boschi, ma in pochissimi avrebbero scommesso qualcosa sulla sua capacità di mettere in piedi un piano di fuga come quello stroncato dal lavoro del Nucleo investigativo della Polizia penitenziaria e dei carabinieri del nucleo investigativo di Menaggio. Eppure dietro al viaggio dal Lario al Montenegro, da dove il fuggitivo sognava di salpare alla volta del Nord Africa prima e del Sud America poi, si scorge una rete di fiancheggiatori che ha quasi del clamoroso.

Iniziamo dalla fine. Ovvero da quella casa alla periferia di Podgorica dove sabato poco prima delle 22 i poliziotti del Montenegro hanno fatto irruzione, facendo scattare le manette ai polsi di Riella. Una cosa ben nota agli investigatori di quel Paese, visto che chi ha dato - dietro il pagamento di somme di denaro - ospitalità al fuggitivo comasco è un uomo che si trovava agli arresti domiciliari.

A quella casa e a quell’indirizzo, i detective dell’investigativa della polizia penitenziaria sono arrivati grazie all’incrocio dei dati catturati grazie alla rete cellulare. Di Riella si erano perdute le tracce poco prima della metà di giugno. Quando gli inquirenti hanno iniziato a comprendere che, con ogni probabilità, l’evaso accusato di aver rapinato in casa e picchiato due novantenni, non si trovava più negli amati boschi dov’era solito fare del bracconaggio. Ma soltanto l’ultima settimana di giugno si è capito dove si trovava: in Montenegro, per l’appunto. Tra i vari contatti costantemente monitorati, gli investigatori hanno intercettato le chiamate con una donna con cui in passato lo stesso Riella avrebbe avuto più di un rapporto d’amicizia. Quei contatti provenivano prima da un’utenza serba, quindi da un numero montenegrino. Si è anche capito che lo stesso Riella, per la sua fuga, avrebbe potuto contare su un discreto quantitativo di contanti, forse diverse migliaia di euro ricevuto da qualcuno prima della partenza. Soldi che da un lato gli avrebbero consentito di trovare un passaggio - anche se lo stesso fuggitivo avrebbe percorso parte del suo itinerario alla volta dei Balcani a piedi e addirittura in bicicletta - ma che soprattutto lo avrebbero aiutato nel pagarsi ospitalità presso contatti in Serbia prima e a Podgorica poi avuti direttamente dall’Italia.

I documenti falsi

E qui in Italia si stava muovendo, sempre dietro pagamento di denaro, un’altra rete di conoscenze: quella che avrebbe consentito a Riella di ricevere un passaporto falso, così da riuscire a imbarcarsi su una nave verso un porto che non avesse accordi di estradizione con l’Italia. Suo malgrado, il Montenegro ha un accordo bilaterale siglato nel 2015 che prevede la possibilità di estradizione. Come non bastasse, proprio in questi giorni l’ufficio esecuzioni del Tribunale di Milano ha annullato la sospensione condizionale di una precedente pena ricevuta per il furto di 260 metri quadrati di parquet. La permanenza in carcere dell’uomo chiamato Petit, insomma, rischia a questo punto di protrarsi a lungo.

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