Cronaca / Olgiate e Bassa Comasca
Martedì 16 Dicembre 2025
«Cinque minuti d’inferno. Ho visto bimbi disperati»
L’attentato Da Bulgarograsso all’Australia, Pietro vive nel luogo della strage. «Passato dal ponte da dove sparavano gli attentatori pochi minuti prima»
Gli spari andati avanti «per oltre cinque minuti», i bambini che piangevano perché avevano perso i genitori, la gente che scappava, gli occhi della poliziotta incredula e ancora la corsa (breve) verso casa, il rumore delle sirene e quello degli elicotteri, le porte aperte per accogliere chi fuggiva impaurito, la tv accesa e, ieri, lo choc ancora più grande nel vedere i locali chiusi, polizia ovunque, fiori, tristezza e lacrime. Tutto questo è quello che ha vissuto tra domenica il tardo pomeriggio di domenica e ieri Pietro Sciascia, 23 anni di Bulgarograsso che da due anni vive in Australia dove lavora in un hotel come receptionist.
Pensavamo ai fuochi d’artificio
La sua casa è a un minuto a piedi da Bondi Beach, la spiaggia di Sydney famosa in tutto il mondo per la sua sabbia fine e bianca, il colore dell’acqua con le scogliere poco distanti (non a caso “Bondi” in aborigeno significa “l’acqua che si frange sulle rocce”) che domenica dopo le 18.30 (ora australiana) si è trasformata in uno scenario di fuga, morte (15 le persone uccise oltre a uno dei due attentatori, padre e figlio) che hanno aperto il fuoco su chi si trovava in spiaggia e, in particolare, sui partecipanti alla festa ebraica di Hanukkah.
In Australia è quasi estate, era domenica e in più festa. «Io vivo praticamente sulla spiaggia, a un minuto a piedi e a due da dove è successo l’attentato. Da quel ponte da cui hanno sparato solo ieri (domenica, ndr) ci sono passato quattro volte. Per andare ad allenarmi a mezzogiorno, poi ho preso il sole e l’ho percorso di nuovo per andare a casa. Dalle 17 alle 18.15 ero tornato in spiaggia per riposarmi ed ero sdraiato sul lato sinistro della spiaggia, perché lì l’ombra del tramonto arriva più tardi».
. La fuga da Bondi beach
Come spesso accade quando si verificano fatti tragici e che restano nella storia, Pietro ricorda tutti dettagli: «A un certo punto mi ha chiamato un mio amico e mi ha invitato ad andare al McDonald’s lì vicino. Ho preso il Mc Flurry e alle 18.36 siamo andati nel giardino, siamo passati dal ponte di fianco agli assalitori e ci siamo seduti». Poco dopo, mentre stavano mangiando, i due ragazzi hanno sentito gli spari. «Eravamo a meno di cento metri – prosegue Pietro – quando abbiamo sentito i colpi. Abbiamo inizialmente pensato ai fuochi d’artificio, ma ci siamo chiesti che senso avesse visto che il sole non era ancora tramontato. Poi altri colpi e improvvisamente tutti si sono messi a scappare, c’era chi iniziava a dire “gun” (arma da fuoco, fucile, pistola, ndr). Correvano tutti, anche noi. C’era chi si rifugiava al McDonald’s, bimbi che piangevano perché avevano perso i genitori, tanti urlavano. In venti secondi eravamo davanti alla Police Station, all’esterno c’era una ragazza della mia età, bionda, una poliziotta con lo sguardo impietrito. Le ho chiesto se c’era davvero gente che sparava e lei ha fatto segno di sì. Ho capito quello che stava accadendo quando sono entrato a casa, mi sono seduto fuori sulla sedia e sentivo che sparavano ancora e mi chiedevo quanta gente stesse morendo. Abbiamo aperto la porta a un giapponese e un americano che scappavano e sono rimasti con noi. Gli abbiamo preparato la cena e sono stati lì con noi finché la situazione non è sembrata più tranquilla. Passavano gli elicotteri che con un megafono invitavano tutti a non uscire di casa».
. Il dolore il giorno dopo l’attentato
I pensieri hanno poi iniziato a correre. «Gli attentatori se fossero scappati avrebbero anche potuto venire a nascondersi dove eravamo noi, non ci sono barriere e avrebbero potuto entrare a casa. Io subito ho chiamato in Italia, dove erano da poco passate le otto e mezza del mattino, per dire che stavo bene. Non ho mai avuto paura, ma tutte quelle sirene, gli spari che sono andati avanti per più di cinque minuti...».
Ieri mattina in spiaggia non c’era nessuno, la situazione era surreale e c’era gente in giro per portare un fiore o un ricordo alle vittime (tra cui una bambina di dieci anni) e ai feriti: «La strada era bloccata, i bar e i locali chiusi, tanti fiori e tristezza. E in quel momento ho davvero realizzato quello che era successo».
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