Lancio della burrata dentro un giardino. Il “gioco” dei giovani

Un gruppo di ragazzini le ha sparpagliate in strada. E una è stata buttata nel cortile di una villetta

Il “lancio della burrata” ha soppiantato il ben più classico lancio del gavettone.

L’ha scoperto a sue spese Stefania Piazzo, direttrice del giornale “La Nuova Padania”, residente in una villetta di una zona residenziale. Lo scorso martedì 21 giugno, verso le 21, mentre stava innaffiando le piante in giardino, le è finita sui piedi una “pioggia di latte”.

«Erano i resti di una burrata, lanciata da un gruppo di ragazzi che stava giocando in strada», spiega Piazzo, che non è rimasta certo a guardare: è uscita lungo la via, una strada a fondo chiuso, per poi avvicinarsi al gruppo di adolescenti. «Avranno avuto al massimo 15 anni – racconta – Ho detto a tutti: “Queste cose non si fanno. Siete stati voi?”. Uno ha fatto un passo avanti e si è preso la colpa. L’ho esortato almeno a chiedere scusa, lui ha risposto che gli era scappata».

Ma cosa ci fa un gruppo di ragazzini con delle burrate? «Vicino alla mia abitazione c’è un posteggio. Martedì mattina avevo notato una scatola appoggiata sopra il cestino. Ho pensato che qualcuno l’avesse messa sopra perché il contenitore dei rifiuti era pieno». La sera, ha scoperto cosa conteneva. «La scatola era piena di burrate confezionate. I ragazzi non si erano divertiti soltanto a lanciarne una nel mio giardino, ma le avevano fatte “esplodere” buttando a terra la scatola e sparpagliandole così in strada».

Piazzo le ha raccolte tutte, o per lo meno quello che ne rimaneva, ha pulito il suo giardino e anche la via. «Peccato che una parte della burrata “esplosa” sia finita anche nello stomaco del mio cane. Non ha resistito alla tentazione, l’ha trovata in giardino e l’ha mangiata». Per lei si è trattata di una bravata.

Ha scritto un post su Facebook e qualcuno ha commentato: «Dove sono i genitori?». Ma «i genitori non c’entrano nulla - spiega - Sono ragazzi di 15 anni, non sono più dei bambini. Si scatenano quando sono in gruppo. La responsabilità è loro e non dei familiari». C. Mar.

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