Le mura di Como raccontano la guerra con Milano

Archeologia Il confronto tra le evidenze archeologiche e il poema scritto dall’Anonimo Cumano ha permesso a un giovane ricercatore di ricostruire le fortificazioni di Como e del lago nel conflitto, perduto, che durò dal 1118 al 1127

Le mura medievali che circondano Como, alte e severe, incutono ancora oggi rispetto secoli dopo la loro edificazione, voluta da Federico Barbarossa nella seconda metà del XII secolo.

Ma un’altra cortina muraria ha cinto la città per un periodo molto più lungo e non è più emergente, o, almeno, si conserva in alcuni punti ed ancora oggi talora appare in occasione di lavori edilizi urbani. Questa prima cinta ha una storia interessantissima e molto lunga, infatti fu costruita dai Romani nel I sec. a.C. (e un buon tratto è visibile all’interno del Liceo Sociopsicopedagogico Teresa Ciceri di Via Carducci) e fu rinforzata con delle torri nei secoli finali dell’impero, quando divenne più pressante la necessità di difendersi. Così all’inizio del VI sec. d.C. Como raggiunse il massimo livello di fortificazione per quanto riguarda l’antichità, tanto che infatti fu definita “munimen” cioè “baluardo” della pianura.

Caduto l’impero romano, le mura progressivamente andarono in rovina.

Ma Como si rivolse ancora alle antiche possenti strutture difensive in un altro periodo molto

tormentato della sua vita, le lotte tra i Comuni e con l’imperatore, nelle quali ebbe come principale nemica la temibilissima Milano. Le poderose mura, costruite con la nota perizia dai Romani, erano certamente fatiscenti, ma comunque furono ritenute ancora idonee a difendere la città, naturalmente dopo un intervento di restauro. Un esempio di tale iniziativa è ben visibile nella torre semicircolare di via Parini [visibile soltanto accedendo a un palazzo di proprietà privata, ndr], dove sulla base tardoromana si può distinguere l’innalzamento medievale.

La cinta urbana ebbe perciò un ruolo di primaria importanza durante la guerra decennale (1118-1127), ma non riuscì a salvare la città, e fu inesorabilmente abbattuta dopo la sconfitta di Como, inferta dai Milanesi. Questo drammatico periodo è l’argomento del libro di Andrea Colagrande: “Fortificarsi per sopravvivere al tempo dei Salii”, cioè la dinastia germanica regnante dal 1024 al 1125.

L’autore è un giovane studioso comasco che, conseguita la laurea in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università degli studi di Milano, ha ottenuto la laurea magistrale in Archeologia a La Sapienza di Roma. Dopo aver frequentato la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici sempre a Roma, è attualmente dottorando in archeologia presso l’Università di Trento.

Letteratura e archeologia

Il suo lavoro tratta sì un argomento su cui si è scritto molto, ma lo affronta da un punto di vista inedito, cercando cioè di raccordare il dato storico-letterario a quello archeologico, soffermandosi - come dice il titolo - sulle strutture difensive, non solo di Como città, ma anche del Lario.

Le maestranze di Pisa e Genova

La prima parte del libro esamina le premesse allo scontro e poi minuziosamente le vicende della guerra, apportando nuovi contributi e fornendo puntualizzazioni e riflessioni, che deve anche alla ricchissima bibliografia consultata. Ad esempio, è interessante ricordare che, quando Milano decise di sferrare un attacco risolutivo, assoldò degli “artifices” di Pisa e Genova. Naturalmente non è casuale la provenienza delle maestranze dalle due città marinare, perché grazie ai loro traffici avevano avuto contatti con il mondo bizantino, dove erano state conservate le conoscenze tecniche antiche, andate perse in Occidente dopo la caduta dell’impero romano; inoltre avevano assimilato la tecnologia militare araba negli scontri avvenuti nel Mediterraneo e in Nord Africa.

Difatti a Como la modalità dell’attacco, riferita dall’Anonimo Cumano nella sua cronaca in versi della Guerra decennale, è analoga a quella messa in pratica dai pisani nell’assedio di Maiorca: le coppie di torri avanzarono affiancando un “gatto” (cioè una struttura che permetteva a gruppi di assedianti di avvicinarsi alle mura), protette dal tiro delle baliste, di modo che gli uomini all’interno del “gatto” poterono prima appianare il fossato, e poi aprire una breccia sufficiente a far entrare i cavalieri in città. I Comaschi dovettero arrendersi presto, dando conferma della fama degli abili “artefici” pisani e genovesi.

Una delle clausole che seguirono la sconfitta fu l’abbattimento delle mura, cosicché Como non avesse più la poderosa protezione che le aveva permesso di resistere; di questa distruzione abbiamo testimonianza anche negli scavi archeologici.

La seconda parte del libro di Andrea Colagrande è dedicata proprio a questo argomento, e passa in rassegna le tracce della cortina muraria che a partire dall’Ottocento sono venute alla luce, fornendo un utilissimo catalogo e proponendo ricostruzioni grafiche. È corredato da un ricco apparato di immagini, sia scattate dall’autore, sia tratte da archivi.

Il volume fa parte della collana “Res Aedificatoria Medii Aevi Europae” che comprende anche un altro volume riguardante il territorio, cioè il libro di Jores Rossetti “Problemi di architettura gotica lombarda. Abbiategrasso e la genesi del castrum visconteo”.

La Sapienza e Como

Andrea Colagrande è stato seguito da professori d’eccezione, come Pio Pistilli, Giorgia Annoscia e Francesca Romana Stasolla, tutti noti per il loro impegno negli scavi e negli studi medievali, e va dato loro merito per aver colto le capacità e la serietà del nostro giovane studioso comasco.

Ma non è nuovo l’interesse che l’Università La Sapienza ha rivolto al Comasco, infatti vogliamo ricordare gli studi di Margherita Tabanelli su San Fedele di Como, e, in un completamente diverso momento storico, la mappatura delle emergenze protostoriche della Spina Verde - al momento in corso - del professor Alessandro Vanzetti.

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