Marco Polo, da 700 anni sulla via della seta

Un numero monografico de “L’Ordine per l’importante anniversario, che cade a tre anni di distanza da quello di Dante. Entrambi erano a Venezia nel 1321 ed è bello immaginarli insieme a raccontarsi storie del mondo che hanno contribuito a cambiare

Tre anni fa l’Italia ha celebrato i settecento anni dalla morte del sommo padre Dante. Quest’anno celebra i settecento anni dalla morte del viaggiatore più famoso della storia, Marco Polo. Non è un casuale affollamento di anniversari. Dante e Marco erano coetanei e Marco era più vecchio di Dante di soli nove anni. Nell’anno 1321 erano entrambi a Venezia, Dante come ambasciatore di Novello da Polenta, signore di Ravenna, Marco a casa sua, come ricco mercante in pensione. Non ci sono prove che si siano incontrati, ma non posso fare a meno di immaginarli insieme, a raccontarsi le loro storie, di diavoli e principi mongoli, davanti un bicchiere di vino (un’ombra) all’ombra del Campanile di San Marco.

La Venezia medioevale era piccola, pettegola e molto diversa dal quella dipinta dal Canaletto. Il Ponte di Rialto era un ponte di legno apribile e i “campi” erano orti e frutteti dove razzolavano i maiali. Possibile che a nessuno dei due sia venuto il desiderio di incontrare l’Altro? Il viaggio di Marco era già leggenda e “L’inferno” di Dante era già letto ad alta voce nelle più raffinate corti italiane. Insomma erano due vip del loro tempo. Il mancato -e storico - incontro rimane un piccolo mistero. Dante Alighieri muore a Ravenna pochi mesi dopo e lascia all’Italia l’opera letteraria più importante della sua storia. Marco Polo muore l’8 gennaio 1324, nel suo letto, circondato dall’affetto della sua famiglia.

Il suo testamento è arrivato intatto fino a noi e - volendo - si può persino comprarne una bella copia anastatica. Marco nel testamento libera Pietro, il suo schiavo tartaro e lascia tutto quello che possedeva alla moglie e alle tre figlie, compreso il mitico lasciapassare d’oro del Kublai Khan che consentiva di attraversare indenni il più grande impero del mondo. Ma all’umanità ha lasciato molto di più, ha unito due realtà lontane, Occidente ed Estremo Oriente, realtà che erano raramente venute a contatto. Con Marco è iniziata la mondializzazione. Con il suo “Milione”, la Via della Seta con le sue varie declinazioni, è diventata patrimonio dell’umanità.

L’Origine del “Milione”

Mentre la “Divina Commedia” è un opera fortemente voluta, progettata e realizzata dal suo Autore, il “Milione” è tutt’altro. È frutto di una serie di fortunati eventi casuali. Sono passati 725 anni dalla sua prima stesura, anno più anno meno. L’idea non fu di Marco, ma di un cantore di ballate, il pisano Rustichello, che si guadagnava la vita scrivendo e leggendo nelle corti medioevali le gesta di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Rustichello, come Marco, era prigioniero a Genova e aveva saputo del suo viaggio. Lo cercò tra gli altri prigionieri e lo convinse a raccontare le sue memorie. I carcerieri non si opposero, anzi fornirono a Rustichello carta e penna.

Marco aveva pensato di scrivere qualcosa, ma da figlio di mercanti com’era, avrebbe scritto solo un manuale utile ai suoi colleghi mercanti. Rustichello scrisse sotto dettatura ma rese letterario il testo aggiungendo qualche fantasticheria. Fu - come si dice oggi - l’editor del “Milione”. Fu bravissimo perché il testo, subito disponibile in lingua d’oil, ebbe immediatamente un successo strepitoso nelle corti europee, copiato e tradotto in altre lingue, compreso il latino.

Centinaia di amanuensi lo hanno poi copiato e ricopiato, magari aggiungendo disegni e particolari fantastici. La prima copia stampata in italiano è del 1496, ben due secoli dopo la prima stesura di Rustichello. La prima in assoluto è stata in tedesco (“Buch des edlen Ritters und Landfahrers - libro del nobile cavaliere e viaggiatore - Marco Polo”, Norimberga, Friedrich Creussner) nel 1477, seguita da quella latina.

Cosa curiosa è che “Il Milione” è stato preso per oro colato e utilizzato come fonte attendibile per ridisegnare le mappe del mondo, come nel caso del mappamondo di Fra Mauro (1450) e di molte “portolane”, ovvero le carte nautiche usate dai navigatori - compreso Cristoforo Colombo - per avventurarsi in quella parte del pianeta.

Uno strano titolo

Difficile è spiegare come sia nato il titolo italiano: “Il Milione”. Gli storici si sono accapigliati per dare una spiegazione a questo nome. Secondo alcune fonti “Il Milione” si chiama così grazie a un parente di Marco, Emilione, che si è occupato della moltiplicazione del manoscritto.

Più credibile è l’ipotesi, condivisa da Alvise Zorzi, scrittore veneziano, autore di una documentata ricostruzione della vita dei Polo. Sembra che il titolo sia dovuto alla cifra “milione”, che al tempo di Marco era non solo enorme e fantastica, ma una vera novità. In latino e con le cifre romane, non esisteva la parola “milione”, al suo posto si era obbligati a usare “decies centena millia”. Al tempo di Marco erano ben pochi quelli che parlavano di “milioni”. Erano solo i mercanti che conoscevano i numeri arabi, introdotti da poco in Europa da Fibonacci. Con i numeri arabi finalmente si poteva scrivere qualsiasi numero, anche grandissimo e parlare appunto di milioni. Che non mancavano nei racconti dei Polo sulle ricchezze del Catai e di Cipango: milioni di abitanti, di soldati, di libbre d’argento... Per queste, che sembravano esagerazioni, erano presi garbatamente in giro dai loro concittadini diventando così “quelli del milione”, da qui il titolo del libro.

Un mondo cambiato

Oggi Marco raggiungerebbe Pechino in low cost, in 10 ore e 35 minuti. Ma rifare il suo viaggio via terra sarebbe complicato. Perché leggere “Il Milione” con una aggiornata carta geografica è una vera avventura. Marco misurava le distanze in giorni di nave, di cavallo o di cammello. Molti i nomi, non solo della città, sono stravolti. Per esempio Pechino è un fantasioso adattamento italiano di Beijing (capitale del nord). Per Marco era Khanbaliq. Della palazzo del Khan non è rimasto nulla, solo la collina sulla quale è stato costruito l’immenso palazzo imperiale della dinastia Qing. La città di Hormuz - nome sempre più frequente nei reportage delle guerre del Golfo - non si trova più nello stesso sito. San Giovanni d’Acri, capitale del Regno Cristiano di Palestina, oggi è solo Acri, una piccola cittadina israeliana. Buddha, che aveva fondato la sua filosofia-religione già nel VI secolo a.C. per Marco ha il misterioso nome di Sagamoni Borcan.

L’avventura continua se cercherete di dare una spiegazione ragionevole alle strane creature incontrate da Marco. Dove sono finiti gli uomini dalla teste di cane delle Isole Andamane? E quelli senza testa o con la coda? Ma forse sorprendono di più le invenzioni cinesi, che mostrano quanto fosse avanzata la loro civiltà rispetto alla nostra al tempo di Dante: avevano inventato la carta, la stampa, la carta moneta, la polvere da sparo e i cannoni di bambù.

Marco in Persia ha visto laghi e sorgenti di petrolio, in Cina ha scoperto il carbone usato come combustibile, trecento anni prima che in Europa. Ha visto persino un uomo volare, con una specie di aquilone, sopra uno dei grandi fiumi cinesi, molto prima dei tentativi del nostro Leonardo. E qui si rivela il pregio maggiore di Marco Polo e del suo “Milione”. Ha ispirato molte grandi idee di altri. E lo fa tuttora, settecento anni dopo.

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