Dalla bulimia all’anoressia, i casi in aumento dopo il covid

Intervista L’isolamento consegu enza della pandemia ha determinato un incremento del numero delle pazienti Gabriele Stampa, psichiatra: «Sempre più spesso intercettiamo queste problematiche già in età infantile»

Andare a scuola, andare al lavoro e più in generale socializzare è un’ottima medicina per prevenire mali come l’anoressia e la bulimia. I disturbi del comportamento alimentare tra le adolescenti, sempre più giovani, sono patologie in forte crescita in questi ultimi anni.

Gabriele Stampa, psichiatra responsabile del Centro per la cura dei disturbi della condotta alimentare di Asso: chi sono i pazienti che arrivano alla vostra attenzione e con quali richieste d’aiuto?

Curiamo principalmente ragazze per tre disturbi tipici, l’anoressia, la bulimia e il binge eating. Sono patologie prettamente femminili, anche se abbiamo anche qualche richieste da parte di giovani maschi.

È giusto parlare di patologie?

Vengono chiamate patologie nelle classificazioni psichiatriche e psicologiche. Poi però sul campo in effetti ci si accorge che possono essere più che altro delle patologie della volontà. Una contraddizione quindi, un ossimoro. Per patologia infatti di solito immaginiamo qualcosa che dall’esterno produce all’interno delle anomalie. Qui invece c’è il fondamentale contributo della persona che per varie ragioni decide non dico di ammalarsi, ma di sicuro sceglie di continuare a vivere in una precarietà esistenziale.

Come potremmo descrivere queste precarietà?

L’anoressia corrisponde al desiderio di non mangiare, di dimagrire, di scendere del 20%, anche del 30% del perso corporeo normale. C’è un continuo timore di ingrassare, con sintomi che diventano nel tempo precisi. La perdita del ciclo, si va incontro a delle conseguenze metaboliche, ormonali. Le giovani mettono in atto meccanismi restrittivi, vomitano, sono fisicamente iperattive, fanno uso di lassativi e diuretici. Hanno l’idea fissa di perdere peso.

È come una droga?

La focalizzazione totale sul cibo e sul peso è un ingranaggio che fa rientrare l’anoressia nel novero delle dipendenze.

Bulimia e binge eating?

La bulimia si traduce in abbuffate incontrollate dove si ingerisce di tutto e in tempi molto brevi. Anche qualche chilo di cibo insieme, a volte perfino crudo, congelato, al limite del civile. A fronte poi dell’evacuazione attraverso il vomito. Queste pazienti possono anche rimanere normopeso o leggermente sotto la soglia, non arrivano a perdere un terzo della loro massa come le anoressiche. Anche loro hanno la stessa idea fissa, ma è come se ogni tanto si concedessero un piacere. Commettono ai loro occhi un peccato a cui invece le anoressiche non cedono. Il binge eating invece è più simile all’obesità, le abbuffate sono frequenti e non sono seguite dal vomito.

Quando può succedere?

Il disturbo alimentare si presenta con la vita. L’alimentazione è lo strumento attraverso il quale si vive. Rifiutando di alimentarsi un soggetto mette in crisi la propria vita, la attacca. Le cause possono anche essere esterne, ma è la persona che compie delle azioni contro se stesso. Mandando spesso a familiari e amici dei messaggi di morte, di auto eliminazione.

C’è un legame con l’età della crescita?

Tendenzialmente sì, succede nel periodo dell’adolescenza. Ma sempre più frequentemente intercettiamo questi problemi già nell’età infantile. Ci sono anoressie legate a vari periodi dello sviluppo. A momenti traumatici in cui le giovani si ritrovano a far fronte a contesti diversi, stressanti, dolorosi e che richiamano delle difficoltà nella costruzione di un valore. La costruzione della propria identità. Sono i momenti di svolta della propria vita, a questi momenti si può reagire con una chiusura. Queste ragazze si chiudono nella loro torre.

È un fenomeno in aumento?

Sì, lo raccontano tutti, sono aumentate tutte le forme e i disturbi di personalità e le dipendenze. Con grande fluidità, con più problemi che insorgono insieme nella stessa persona. Non ci sono più le classiche patologie psichiatriche, l’isteria o la schizofrenia. Siamo entrati in un tempo nuovo. Oggi vengono a mancare quegli elementi che aiutano a camminare nella società, per esempio la religione. Ha vinto l’individualismo allo stare insieme, ha preso il sopravvento la tecnologia.

È importante stare insieme?

Certo, i contesti contano moltissimo, le relazioni ci formano, ci fanno crescere. Infatti per molte ragazze anoressiche il Covid è stata come una manna dal cielo. Nel senso che purtroppo la pandemia e l’isolamento hanno favorito una chiusura. È stato facile per loro rafforzare il senso di chiusura dal mondo, estraniarsi. Hanno vissuto l’asocialità, sono rimaste dentro al castello. Ecco perché tante sofferenze sono venute a galla in questi ultimi dolorosi due anni e mezzo. La socialità è il principale strumento con cui costruiamo la nostra identità. Ecco perché andare a scuola fa benissimo. Come per i più grandi andare a lavorare, la scuola per i giovani è di fatto un mestiere. È nei luoghi sociali che realizziamo i nostri valori. Siamo il prodotto di relazioni.

Cos’è DCAmolo?

È una realtà comasca nata dieci anni fa di cui sono presidente. Organizziamo confronti, convegni, serate d’incontri, facciamo un lavoro di prevenzione nelle scuole, negli oratori. E ovviamente raccogliamo fondi per il nostro centro di Asso. Sono risorse preziose per promuovere nella nostra comunità residenziale di cura progetti di danza, teatro, psicomotricità, per fare gite e uscite. Anche, appunto, per imparare a stare insieme.

Siete collegati con l’ospedale Sant’Anna?

Nel 2009 è nato il progetto Vita, un percorso sperimentale voluto dalla Regione per l’integrazione tra il pubblico e il privato. Il pubblico è il dipartimento per la Salute mentale del Sant’Anna, dell’Asst Lariana, il nostro centro invece è l’altro capo. Siamo collegati da regolamenti e responsabilità reciproche, c’è una valutazione, la possibilità di rivedere annualmente la sperimentazione per cercare di rispondere al meglio ad un crescente bisogno di cura.

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