I noduli alla tiroide colpiscono il 50% delle donne. Per curarli serve la radiofrequenza

Una sola seduta Tecniche di termoablazione sostituiscono oggi la chirurgia L’intervento viene eseguito in regime ambulatoriale e in anestesia locale

I noduli alla tiroide sono ampiamente diffusi nella popolazione adulta, con una prevalenza all’ecografia diagnostica che raggiunge il 50% nella popolazione femminile ed il 30% in quella maschile. Se nella maggior parte dei casi questi non richiedono trattamento, in alcuni pazienti anche in caso di noduli benigni è necessario un trattamento con radiofrequenza.

La radiofrequenza

«Molte lesioni nodulari – spiega Andrea Azzaretti, responsabile dell’Unità Operativa complessa Diagnostica per Immagini dell’ospedale Valduce - all’esame ecografico di screening e/o al successivo esame citologico, risultano benigne e si mantengono asintomatiche nel tempo, non richiedendo ulteriori trattamenti. Tuttavia, alcuni pazienti, anche con benignità accertata dei noduli, possono sviluppare diverse sintomatologie». Tra queste patologie da compressione (difficoltà alla respirazione, tosse, disfagia, sensazione di corpo estraneo o deviazione tracheale) oppure inestetismi, come tumefazioni in sede giugulare.

«Per trattare i noduli benigni della tiroide – aggiunge Azzaretti - oltre alla chirurgia tradizionale, è possibile utilizzare le tecniche di termoablazione, come la radiofrequenza, ossia procedure mini-invasive effettuate tramite il rilascio di energia termica». La tecnica ablativa mediante l’uso di radiofrequenza è utilizzata in medicina dalla fine degli anni Settanta e da circa dieci anni viene utilizzata con successo anche nel trattamento delle patologie nodulari benigne della tiroide. Numerosi studi presenti in letteratura hanno dimostrato l’efficacia della radiofrequenza e delle micro-onde per il trattamento dei noduli tiroidei benigni. Da questi studi è emerso che la radiofrequenza garantisce una riduzione del volume del nodulo più significativa dopo un anno dal trattamento. La riduzione del nodulo arriva al 70-80% nella radiofrequenza contro il 60% del laser. Questa riduzione si ottiene generalmente con una sola seduta, con risultati rapidi e duraturi nel tempo. I pazienti candidabili a questo tipo di trattamento devono rispondere a una serie di requisiti. L’intervento viene per lo più eseguito in regime ambulatoriale e in anestesia locale.

Le onde elettromagnetiche

«La procedura – aggiunge Irene Beneggi, radiologa interventista del Valduce - è eseguita tramite un ago-elettrodo che viene veicolato all’interno del nodulo sotto guida ecografica, ed ha durata variabile, generalmente intorno ai trenta minuti, compresi i tempi di allestimento della sala operatoria». Una volta posizionato l’ago nel nodulo le onde elettromagnetiche ad alta frequenza emesse dall’elettrodo surriscaldano il tessuto tiroideo, producendo una necrosi molto localizzata del nodulo, che successivamente, verrà sostituta da tessuto fibroso-cicatriziale, con la conseguente riduzione volumetrica del nodulo. Un sistema di raffreddamento con soluzione fisiologica controlla la temperatura in corrispondenza della punta dell’ago. Nel caso di noduli molto voluminosi o che dopo una iniziale fase di riduzione tendano nuovamente a crescere di dimensioni, la procedura può essere ripetuta. L’intervento è generalmente ben tollerato. In rari casi nelle prime giornate post-operatorie il nodulo può diventare lievemente dolente ed aumentare leggermente di volume, a causa dell’edema e dell’infiammazione dei tessuti sottoposti al trattamento. I disturbi si risolvono generalmente spontaneamente in breve tempo. «I vantaggi di questo tipo di procedura – conclude la specialista - consistono innanzitutto in un approccio mini-invasivo ed ecoguidato, consentendo di mantenere intorno al nodulo trattato un “anello di sicurezza”, dove si trovano strutture anatomiche del collo delicate e da rispettare, quali il fascio vascolo-nervoso». Il tasso di complicanze risulta quindi molto basso. La procedura, inoltre, non determina cicatrici o inestetismi.

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