Il tumore alla vescica è tra i più diffusi: attenzione a non ignorare il sangue nelle urine

Neoplasie Sono 25.500 i casi di cancro alla vescica segnalati nel 2020 in Italia: colpiti più spesso gli uomini. Nella maggior parte dei casi, per fortuna, è superficiale

Il tumore della vescica rappresenta una delle neoplasie a maggiore incidenza nella popolazione italiana. Nel 2020, come evidenziato dalla pubblicazione dell’Aiom - Associazione italiana di Oncologia Medica “I numeri del cancro 2021”, sono stati 25.500 i nuovi casi, di cui 20.500 hanno interessato uomini e 5mila donne.

«Il tumore alla vescica – spiega Daniele Romagnoli, responsabile dell’Urologia del Policlinico Abano di Abano Terme - è la settima neoplasia per incidenza nel sesso maschile, ma colpisce anche, seppure in minore percentuale, anche il sesso femminile, nei confronti del quale costituisce la decima forma tumorale più diagnosticata nel mondo».

L’azione di un parassita

Tra i fattori di rischio, come ricorda lo specialista, c’è il fumo, i cui prodotti di degradazione hanno azione cancerogena sulle cellule di rivestimento delle vie urinarie, e l’esposizione ad agenti chimici utilizzati nella produzione di coloranti e nella lavorazione e tintura delle pelli. La radioterapia sulla pelvi ha come complicanza tardiva, dai 10 anni in poi, anche lo sviluppo di tumori vescicali. Nei paesi in via di sviluppo un altro fattore scatenante è l’infezione da parte del parassita noto come Schistosoma.

«Il sintomo principale di questa malattia – aggiunge - è la presenza di sangue nelle urine, cioè l’ematuria, che deve sempre essere indagata, e mai trascurata, e la diagnosi poggia sia sulla ecografia delle vie urinarie che sulla visualizzazione diretta mediante una telecamera flessibile in ambulatorio, la cistoscopia». Da un punto di vista della prevenzione, non esistono diete particolari o misure efficaci al cento per cento: oltre ad agire sui fattori predisponenti come il fumo e l’esposizione a tossici, è fondamentale una corretta informazione, così come non sottovalutare il riscontro di urine ematiche, in presenza delle quali è importante andare dallo specialista per inquadrare correttamente la situazione.

Nella maggior parte dei casi, per fortuna, il tumore della vescica coinvolge solo lo strato superficiale dell’organo, e può essere trattato con resezioni endoscopiche (passando attraverso il canale che porta l’urina all’esterno, chiamato uretra) e con lavaggi endovescicali con agenti chemioterapici (Mitomicina C) o stimolanti il sistema immunitario (Bacillo di Calmette-Guerin). Tuttavia, in un terzo dei casi, gli specialisti si trovano di fronte ad un tumore che ha scavato in profondità nella vescica, invadendo gli strati più intimi, oppure che ha resistito a pregressi trattamenti con i farmaci citati.

Il ricorso alla neovescica

«In questi casi – conferma Romagnoli - è necessario l’intervento di cistectomia radicale, ossia l’asportazione dell’organo coinvolto, e delle strutture vicine che possono essere interessate dalla malattia e cioè la prostata nel maschio e l’utero, le ovaie e le tube nella femmina». Completa la fase di bonifica la linfoadenectomia che è l’asportazione dei linfonodi, strutture vicine ai vasi che vengono colonizzate per prime dal tumore, in caso quest’ultimo decida di uscire dalla vescica e disseminarsi attraverso i fluidi corporei. Una volta asportate queste strutture, si procede alla derivazione urinaria e quindi al ripristino della via urinaria.

«La derivazione più sofisticata è la neovescica – prosegue l’esperto - che prevede l’utilizzo di un tratto di intestino che viene riconfigurato per plasmare un nuovo serbatoio, che andrà a sostituire la vescica originale. Alternative alla neovescica sono le derivazioni non continenti, che prevedono l’abboccamento alla cute o “stomia”, conosciuta anche come il “sacchettino”, di un segmento intestinale cui vengono raccordati gli ureteri, ossia i condotti che raccolgono le urine dai reni, oppure l’abboccamento diretto degli ureteri alla cute. In questo caso di parla di ureterocutaneostomia».

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