La rivoluzione digitale, tra danni e opportunità

Prevenzione Per comprendere rischi e potenzialità dei nuovi strumenti nasce il progetto SatisFace di Università Vita-Salute San Raffaele

Il cambiamento può essere inteso anche come il modo di percepire noi stessi attraverso i nuovi strumenti tecnologici che sono ormai entrati a far parte della quotidianità. L’uso dei social network da tempo è sotto i riflettori in quanto, per molti esperti, sono causa di disagio e scarsa accettazione di sé, soprattutto tra i più giovani. Fondamentale così, prima di demonizzare queste piattaforme, raccogliere dati e informazioni utili.

Proprio per comprendere i rischi e le potenzialità della rivoluzione digitale sui giovani è nato il progetto SatisFace di Università Vita-Salute San Raffaele che ha l’obiettivo di esplorare il tema dell’immagine digitale con una ricerca incentrata sul viso. I primi risultati, emersi da uno studio pilota condotto su 120 preadolescenti, dai 12 ai 16 anni, rivelano aspetti molto interessanti dal punto di vista psicosociale sull’utilizzo dei social e sulla gestione dell’immagine di sé in foto.

Progetto interdisciplinare

Si tratta di un progetto interdisciplinare, che integra le competenze di statistica, psicologia, digital health, psicologia sociale, con l’obiettivo di misurare ed analizzare la percezione dell’immagine del proprio viso e la relazione tra questa e il mondo digitale e con la finalità ultima di elaborare una valutazione quali-quantitativa dell’impatto delle tecnologie digitali sull’immagine di sé, come possibile predittore di eventuali disagi psicologici - soprattutto in età pre e post adoloscenziale - ma anche nell’ottica di promuovere il digital wellbeing, come si definisce il benessere digitale. «Guardando alla letteratura in materia ci siamo resi conto – spiega il professor Antonio Nizzoli, docente di corsi di comunicazione mediatica all’Università VitaSalute San Raffaele e autore del libro Narcisi nella rete. L’immagine di sé nell’epoca dell’immagine – che c’erano diversi studi legati al corpo, ma pochi al volto. Con la pandemia e con l’aumento dell’utilizzo degli strumenti digitali, inoltre, abbiamo iniziato a guardarci ancora di più in faccia via schermo. Per questi motivi abbiamo pensato fosse giusto concentrarci su un progetto legato al volto». L’immagine digitale scattata con uno smartphone, infatti, consente di produrre, memorizzare, modificare e condividere, a costi irrisori, migliaia di immagini, nella maggior parte dei casi costituiti da ritratti e autoritratti, ovvero i selfie. Milioni di visi sono fissati in fotografie digitali, soggette a un makeover virtuale praticato dagli utenti o incorporato negli stessi dispositivi fotografici, un ritocco che riguarda, da una parte, la preparazione reale del viso (dal make up, al botox, fino alla chirurgia estetica), e, dall’altra parte, la sua manipolazione virtuale (dai filtri, agli algoritmi di editing, fino ai software di modifica dell’immagine). Tutti questi passaggi sono strettamente legati tra loro e si influenzano reciprocamente, con effetti amplificati dalla possibilità di condividere la propria immagine tramite i social media, che estendono il confronto dai modelli classici di bellezza (di stampa, cinema e tv) alla comparazione tra pari.

Il selfie narcisistico

Il contesto descritto in alcuni casi può produrre disturbi psicologici se non vere e proprie patologie, ma anche nuove forme poco studiate di relazioni sociali che costituiscono altrettante opportunità offerte dalla rivoluzione digitale. «Dai primi risultati raccolti sono emersi dati e spunti molto interessanti – aggiunge la professoressa Chiara Brombin, coordinatrice di SatisFace, associata di Statistica alla Facoltà di Psicologia di Università Vita-Salute San Raffaele e coinvolta nelle attività di ricerca del Centro Universitario di Statistica per le Scienze Biomediche (Cussb) – tra quest il fatto che tra i preadolescenti è poco diffuso il selfie narcisistico e questo ci deve far riflettere sul preconcetto molto diffuso nei confronti di questa abitudine di fotografarsi il volto, che in questa fascia di età è molto più legata a un modo di comunicare che di apparire. Nel corso dello studio, inoltre, ci siamo accorti di quanto quello dei social sia un mondo dinamico, in costante evoluzione».

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