L’ictus è la terza causa di morte nei paesi occidentali: colpisce il 9% degli over 75

Approfondimento Se in termini di prevenzione è molto importante uno stile di vita sano, per la cura lo è soprattutto la tempestività. Il neurologo Grampa: «Fondamentale che il paziente sia subito preso in carico per scongiurare esiti invalidanti»

L’ictus è la terza causa di morte nei paesi occidentali. Colpisce il 9% delle persone sopra i 75 anni, ma in alcuni casi può interessare anche persone più giovani. Se in termini di prevenzione è fondamentale seguire stili di vita sani, quando i sintomi si manifestano il tempo è un fattore essenziale in quanto, prima si arriva in pronto soccorso, migliore è la possibilità di ridurre gli esiti dell’evento acuto.

«La parola ictus – spiega Giampiero Grampa, direttore dell’unità operativa complessa di Neurologia e direttore del dipartimento di Neuroscienze di Asst Lariana – proviene da un termine latino che indica “colpo” e di fatto questa patologia si verifica improvvisamente. Un paziente che è in pieno benessere, ad esempio, può avere dei sintomi senza aver avuto segnali in precedenza».

L’ictus è una patologia che interessa il sistema circolatorio del cervello e può essere suddivisa in due gruppi: ictus ischemico e ictus emorragico. L’ictus ischemico, che rappresenta circa l’80% dei casi, si verifica quando c’è un’ostruzione di un’arteria cerebrale, quindi, di fatto, si verifica un infarto del cervello. L’ictus emorragico, invece, è la conseguenza della rottura dell’arteria di un vaso, con una successiva perdita di sangue.

La sintomatologia

«Ictus ischemico e ictus emorragico – precisa il primario – prevedono trattamenti diversi. Se per quanto riguarda l’ictus emorragico negli ultimi vent’anni non ci sono stati grossi cambiamenti in termini di trattamento, salvo qualche novità farmacologica per i pazienti in terapia anticoagulante o affinamenti di procedura chirurgica, un importante passo avanti è stato fatto invece per il trattamento dell’ictus ischemico in quanto oggi, rispetto a quindici anni fa, c’è una vera e propria terapia se il paziente arriva in tempi utili in ospedale». Trattandosi di una patologia tempo dipendente, infatti, la tempestività nella presa in carico del paziente è fondamentale per scongiurare gli esiti della patologia che possono essere molto invalidanti, basti pensare che l’ictus è la prima causa di invalidità e di conseguenza un elevato carico in termini di spesa pubblica. La gravità dipende non solo dal tempo in cui il cervello è rimasto senza sangue, ma anche dalla zona colpita: si possono presentare paresi degli arti superiori e inferiori, disturbi del linguaggio, difficoltà di deglutizione e di respirazione, oltre che problemi cognitivi e depressione.

La prevenzione e la capacità di riconoscere i segnali della malattia sono fondamentali da un lato per scongiurare l’evento acuto e dall’altro per chiamare tempestivamente i soccorsi. «Ecco perché sensibilizzare e informare la cittadinanza – conferma Grampa – è fondamentale. In termini di prevenzione è importante andare a correggere quelli che sono i fattori di rischio modificabili e quindi le abitudini di vita».

Esistono, infatti, fattori non modificabili come l’età, ma anche fattori modificabili come l’alimentazione, il fumo, il consumo di alcol e il controllo di alcune patologie come il diabete e l’ipertensione arteriosa. Mangiare in modo sano e equilibrato, fare attività fisica, non fumare e non eccedere con gli alcolici sono così strategie utili in termini di prevenzione.

«Altro aspetto importante, come detto – prosegue lo specialista – è quello di informare la popolazione sui campanelli di allarme che devono far allertare al più presto il 112 e attivare la catena del soccorso che proprio per l’ictus prevede protocolli e percorsi dedicati».

Ma quali sono i sintomi? «La sintomatologia è varia – precisa Grampa – in quanto dipende molto dalla zona del cervello interessata dall’evento. Può esserci un formicolio o una debolezza degli arti, oppure una vertigine. In altri casi può esserci un disturbo della parola e la bocca storta o un disturbo della vista. Se il paziente o un famigliare riconosce questi tipi di disturbi allora deve chiamare subito il 112 per far trasportare la persona colpita da ictus in un pronto soccorso idoneo a questo tipo di cure».

Non sempre così l’ospedale più vicino è quello più idoneo per il trattamento dell’ictus. Per questo motivo Regione Lombardia ha creato una rete di ospedali lombardi deputati alla presa in carico e al trattamento di questa patologia, in quanto il fattore tempo non deve essere solo inteso come minuti trascorsi dal soccorso all’arrivo in ospedale, ma come tempestività di organizzazione all’interno del nosocomio stesso dalla presa in carico al trattamento vero e proprio.

Garantire l’iter terapeutico

Il Sant’Anna è l’ospedale hub per la provincia di Como, quindi il riferimento per il paziente colpito da ictus.

Il nosocomio, proprio per garantire la migliore tempestività e trattamento in questi casi ha avviato una collaborazione con l’ospedale Valduce e con l’ospedale Moriggia Pelascini di Gravedona, entrambi dotati del reparto di Neurologia e di una Stoke Unit. «Questa rete – spiega il primario – consente di garantire tutto l’iter terapeutico per il paziente con ictus. Oggi sappiamo che se la presa in carico è entro le quattro ore e mezza dall’evento si può somministrare una terapia endovenosa, che consiste in una terapia trombolitica che serve a sciogliere il trombo di un ictus ischemico. Con la nuova Tac all’ospedale Sant’ Anna tale finestra temporale, con studio perfusionale, può essere anche maggiore. Ma soprattutto abbiamo una finestra temporale più larga, con un margine anche oltre le sei ore, per trattamenti di radiologia interventistica grazie a procedure che permettono di arrivare a togliere il trombo da un’arteria cerebrale».

Fondamentale quindi anche la collaborazione con la Radiologia Interventistica. Il protocollo regionale per il trattamento dell’ictus, inoltre, prevede che il paziente soccorso debba arrivare entro un’ora nell’ospedale di riferimento quindi, quando questo tempo non è garantito con un trasporto in ambulanza, viene fatto decollare l’elicottero del 118.

Una terapia utile

L’obiettivo, come conferma il responsabile della Neurologia, è quello di sfruttare ogni minuto prezioso per scongiurare gli esiti della patologia. Nel 2022 sono stati 324 i pazienti ricoverati nella Stroke Unit del Sant’Anna di cui 128 hanno ricevuto un trattamento farmacologico, interventistico o entrambi. Questo significa che circa un terzo delle persone ricoverate ha ricevuto una terapia utile.

La Stroke Unit del Sant’Anna è stata recentemente nominata struttura semplice, di cui è referente la dottoressa Laura Fusi, che può contare sulla presenza di un’equipe sanitaria specializzata proprio nel trattamento dell’ictus.

«In base al tempo in cui il paziente raggiunge l’ospedale – conclude Grampa – e alle sue condizioni generali, oggi è così possibile che una persona venga dimessa anche dopo pochi giorni e senza la necessità di una riabilitazione. In altri casi, invece, dopo qualche giorno di ricovero in Stroke Unit può essere necessario un trasferimento in Neurologia».

In alcune situazioni può rendersi necessaria anche una riabilitazione intensiva, quindi con un ricovero in un reparto di Riabilitazione interno alla struttura ospedaliera o in centri esterni specializzati. Ma esistono anche casi in cui il paziente può seguire una riabilitazione di tipo ambulatoriale, come per i pazienti che, a seguito di ictus, hanno difficoltà di linguaggio e devono essere seguiti da una logopedista.

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