Alì, il rapinatore sbagliato
«Incastrato da una fotografia»

Si presenta in questura a Como per rinnovare un permesso e finisce in cella

Condannato con un complice che però ammette: «Mai visto prima»

Como

Detto che in carcere sono sempre tutti innocenti, e i giudici comunisti, e gli sbirri cattivi, la storia di Ali Laaz Moulay, 33 anni da Rabat e una faccia un po’ così - segnata da un paio di cicatrici alla Corto Maltese - sembra, una volta tanto, quella di un genuino Dreyfus, condannato per un reato mai commesso.

Sposato e padre di una bimba in tenera età, Alì ha scritto una lunga lettera a La Provincia, cercando di riassumere la storia che lo riguarda, a partire dal prologo risalente allo scorso gennaio quando - lasciata la sua consorte ad attenderlo in macchina - si presentò in questura per ritirare il permesso di soggiorno, salvo non uscirne mai più.

Quel giorno la polizia lo arrestò, dando seguito a una condanna emessa nel 2012, al termine di un processo di cui non lui sapeva nulla, celebrato senza avvertirlo - o quantomeno senza riuscire a rintracciarlo e a convocarlo - e concluso con una sentenza di condanna a due anni e mezzo, per una rapina commessa nel 2007 a Como, in via Foscolo.

Nel capo di imputazione era scritto che, assieme a due complici, Alì aveva avvicinato e minacciato un connazionale puntandogli un coltello alla gola per derubarlo di 100 euro. «Sono innocente e nessuno mi crede», scrive nella sua lettera, un appello per chiedere la revisione del processo ma, soprattutto, per chiedere che qualcuno vada finalmente in carcere a trovare tale Mohamed Shwekey, egiziano, lui si “serenamente” condannato per quello stesso colpo in centro città.

Sembra, in altre parole, che Shwekey - spinto anche da altri detenuti e da una legge carceraria non scritta, che in qualche modo impone sempre più lealtà di quanta, forse, se ne trovi fuori - sia disposto a raccontare che , in effetti, quel suo molto presunto complice lo ha incontrato soltanto in carcere. E che, in altre parole, Alì non può avere davvero nulla a che fare con la rapina.

Il tempo, però, stringe, come ribadisce Mauro Piccirillo, l’avvocato che assiste il giovane marocchino, e che in Procura ha chiesto un supplemento di indagine.

Stringe perché Shwekey, che fu arrestato subito dopo la sentenza, tra venti giorni esce e se ne va, e difficilmente resterà in Italia. La polizia, cui la Procura ha delegato le indagini, ha insomma pochi giorni a disposizione per chiarire il giallo. Intendiamoci: non è un santo, Alì. A metà degli anni Duemila era già stato fotosegnalato e condannato per una questione di droga, ma il fatto che il suo complice non lo riconosca qualcosa potrà significare. Del resto fu proprio sulla base di una foto che lo condannarono. Quella che un poliziotto mostrò alla vittima. Che lo riconobbe e lo fece condannare, per quella faccia un po’ così, alla Hugo Pratt.

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