Il killer: «Deiana non voleva morire mai»

Un nuovo pentito racconta i retroscena degli affari della ’ndrangheta tra Fino, Lurate e Cermenate. E sul delitto di Vertemate: «Virgato si presentò a casa mia sporco di sangue e disse “mi sono vendicato”»

Se fossero vere soltanto metà delle parole di Luciano Nocera, nuovo pentito di ’ndrangheta, in quel lembo di provincia incastrato tra la provincia di Varese, la statale dei Giovi e il Milanese sarebbero attivi poco meno di un centinaio di affiliati alla criminalità organizzata calabrese. Alcuni finiti in carcere nel recente blitz dell’operazione Insubria (che ha decimato le locali di ’ndrangheta Fino Mornasco e Cermenate), altri condannati in passato, oggi liberi e ancora operativi, altri semisconosciuti.

Davanti ai magistrati dell’antimafia Luciano Nocera, 46 anni di Lurate Caccivio, in cella per associazione mafiosa e traffico di droga ma, soprattutto, per aver partecipato al massacro di Ernesto Albanese, ucciso a coltellate a Guanzate nel giugno scorso, snocciola nomi, fatti, organigrammi, episodi di una provincia percorsa in lungo e largo da armi, droga e dove la criminalità calabrese ha messo solide radici: la nostra.

È la storia stessa della presenza malavitosa a parlarne. Un esempio? «Sa chi ha aperto la locale di Fino Mornasco?» chiedono i magistrati. Risposta: «No, ma so che esiste da metà degli anni Settanta. Ad un certo punto è stato chiuso, come tutte le locali coinvolte nell’indagine “La notte dei fiori di San Vito” tranne Mariano Comense, che ha continuato a operare».

Comincia dal principio, Nocera: ovvero dalla sua affiliazione, datata 2004 nel carcere del Bassone. «Ero detenuto con Luigi Vona (già condannato perché considerato il capo della locale di Canzo ndr) Venni affiliato con la dote di camorrista di sgarro, dopo due settimane mi venne data la santa», una delle doti maggiori. «Vona mi fece un taglio dietro la schiena e bevve il sangue che uscì» racconta Nocera, mentre mostra ai magistrati la cicatrice di una croce.

Venne affiliato nella locale di Canzo, anche se Michelangelo La Rosa, detto “bocconcino”, «personaggio di rilievo» dei clan, a sentire Nocera, «mi propose addirittura di raccogliere un po’ di uomini e aprirmi una locale a Lurate Caccivio». Il racconto del pentito comasco è anche un viaggio tra i locali (decine) in mano alla criminalità organizzata, bar e ristorante ritrovo dei mafiosi, dove gli affiliati «sono sempre buttati lì».

E poi ci sono gli omicidi. Quello di Salvatore “Chicco” Deiana, sparito da Villa Guardia nel febbraio 2009, ucciso a Vertemate con Minoprio e il cui corpo è stato ritrovato nelle scorse settimane dalla polizia nei boschi di Oltrona San Mamette: «Franco Virgato ha suonato a casa mia alle sette della mattina. Era completamente sporco di sangue, dalla testa ai piedi» ricorda Nocera. «Mi ha detto che “non voleva morire mai”. E poi: “Alla fine la vendetta l’ho fatta, l’ho ammazzato il porco”». Vendetta per quell’agguato a colpi di pistola di alcuni anni prima da parte di Deiana, che aveva mandato Virgato in ospedale.

«Virgato avrebbe già voluto ammazzare Deiana quando erano entrambi in carcere a Como», ma poi non ci riuscì. La notte in cui si presentò a casa di Nocera «mi ha chiesto di potersi lavare dal sangue e io l’ho mandato nella casetta dell’operaio, vicina a casa mia. Andrea Zemolin lo ha fatto lavare, gli ha dato una camicia e un paio di pantaloni puliti e poi hanno bruciato i vestiti dentro il camino», prima di preoccuparsi di far scomparire il corpo di Deiana in una fossa scavata nel bosco ai lati della Lomazzo-Bizzarone.

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