Medico senza laurea
I giudici bacchettano l’Asl

La sentenza della Corte dei Conti sul falso medico che ha lavorato per dieci anni all’Asl

Como - La sentenza della Corte dei Conti sul caso di Antonio Micieli non è tenera nemmeno nei confronti dell’Asl. Non sfugge ai giudici, infatti, la stranezza di un ente che per dieci anni ha fatto lavorare un falso medico senza accorgersi di nulla (contrariamente a quanto dichiarato, il 29 novembre 1979 non aveva conseguito la laurea in Medicina e non era iscritto all’Ordine).

I giudici scrivono che, nel campo della medicina fiscale, l’Asl, dopo aver assunto anche le funzioni svolte fino a quel momento da un apposito ente di Cantù, «ometteva di svolgere bandi di gara ma prorogava di anno in anno gli incarichi in essere, senza svolgere alcuna istruttoria in merito al possesso dei titoli (...). Ometteva di costituire graduatorie ovvero di mettere in gara il servizio e prorogava i rapporti sulla semplice base delle dichiarazioni rilasciate in via di autocertificazione». Non si può non tenere in debito conto, si legge sempre nella sentenza, dell’assenza di «una regolare procedura selettiva» e della «successiva prolungata carenza di controlli che, se debitamente svolti in occasione del conferimento dell’incarico per ciascun anno, avrebbero fatto emergere i gravissimi illeciti comportamenti posti in essere da Micieli», oltre ad assicurare una «giusta comparazione tra una pluralità di candidati».

Accolta, quindi, almeno una parte della tesi dei difensori del sessantenne, che hanno sottolineato come il danno alle casse pubbliche sia stato causato anche dalla stessa Asl, colpevole di «aver omesso, non solo all’epoca dell’assunzione ma anche nei successivi dieci anni, qualsiasi controllo sulla veridicità dei titoli di studio e delle dichiarazioni rese» dal sedicente professionista comasco.

Proprio sulla base di queste considerazioni, la Corte dei Conti ha ridimensionato la cifra chiesta a Micieli, scendendo a quota 113mila euro contro i 220mila euro quantificati dal pubblico ministero (il vice procuratore generale Barbara Pezzilli). Danno erariale, ma anche danno d’immagine. Resta la tirata d’orecchi nei confronti dell’azienda di via Pessina, che ha controllato l’autocertificazione firmata da Micieli solo dieci anni dopo il primo incarico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA