Treno: non compra il biglietto
Dopo quattro anni la multa

Disavventura in treno sulla tratta Pavia-Como per l’avvocato Aristide Campisani. Biglietteria automatica ko, l’altra con una lunga coda. «Ho avvisato io il controllore»

Sapevamo da un pezzo che tra i tanti difetti di noi italiani c’è anche da annoverarsi una cronica carenza di buon senso, e però davvero il carteggio tra Trenitalia e l’avvocato comasco Aristide Campisani, consolida le convinzioni di chi sostiene che non ce la faremo mai.

Dunque: succede che Campisani, nel novembre del 2009, si ritrovi a dover rientrare a Como dalla stazione ferroviaria di Pavia, con un treno in partenza per Milano centrale alle 15.25. Con discreto anticipo, attorno alle 14.50, l’avvocato si presenta in stazione assieme a un collaboratore per poter acquistare il biglietto, merce paradossalmente rarissima negli scali ferroviari del Paese. Lo insegnano i guai con l’automazione che negli ultimi mesi si sono registrati anche a Como San Giovanni e, d’altra parte, lo insegnano con un certo orgoglio anche quelli di Trenitalia che proprio a Campisani rispondono che l’acquisto è possibile «tramite call center, sul nostro sito, presso le numerose agenzie di viaggio convenzionate e, per i viaggi a carattere locale, presso bar, tabaccherie, edicole e rivenditori autorizzati», che alla fine vien da chiedersi se non sia più semplice far funzionare una biglietteria come succede in tutto il mondo. Comunque: l’avvocato si mette in coda allo sportello - l’unico aperto - mentre la persona che è con lui si posiziona in fila di fronte a un distributore automatico, «dal quale - spiega Campisani - nessuno riusciva a cavare biglietti».

All’arrivo del treno non resta che chiedere aiuto al controllore, avvertendolo che nonostante gli sforzi non è stato possibile acquistare alcun documento valido di viaggio. Potrebbe rilasciarlo il controllore? Certo che potrebbe, ma siccome la vita è prima di tutto “regolamenti”, quello in vigore sui nostri treni impone che ci sia comunque da conciliare una multa di 50 euro, e poco importa che uno si sia fatto avanti fin dall’inizio chiarendo di non essere riuscito ad acquistarlo e di non avere avuto alcuna intenzione di viaggiare a scrocco. Per farla breve: l’avvocato compra il suo biglietto a bordo ma, come sovrattassa, gli verbalizzano quei 50 euro di sanzione che, quattro anni più tardi, confluiscono in una cartella esattoriale di 378,63 euro, che comprensivi di more varie, in caso di ritardato pagamento, diventano 390,75.

Come uscirne? Al momento, detto che il “multato” non ha intenzione di conciliare un bel niente - e meno che mai visto il moltiplicarsi, con tendenza all’infinito, della sanzione amministrativa - si prospetta un bel braccio di ferro, sullo sfondo di una ipotesi di reato penale. Difficile dire se stia davvero in piedi, ma va detto che i soldi sono pretesi sulla base di un Dpr del 1980 che nessuno ha mai ritoccato. Contemplava sanzioni in lire, commutate e rivalutate in euro non si sa da chi, al punto da potersi configurare, sia pure in astratto, il reato di falso ideologico. Esageriamo? Forse, ma siamo in buona compagnia. Perché il biglietto per cui si pretende il pagamento di 390 euro ne costava 3,50.

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