Cassa, niente soldi
«Siamo al limite,
così non si va avanti»

Migliaia di lavoratori comaschi in attesa ed un disagio sociale che diventa sempre più pesante. «L’anticipo alle banche? Una procedura complicata»

Senza soldi da due mesi, qualcuno anche di più. Il record più amaro per la cassa integrazione non pervenuta tocca al settore della ristorazione legato alle scuole, anche perché il ritorno al lavoro non è certo dietro l’angolo.

I numeri

Secondo stime provvisorie, la cassa integrazione a Como potrebbe coinvolgere circa 70mila persone. La cassa in deroga – con il doppio passaggio burocratico – è quella che ha visto il disagio più profondo: più di 7.200 lavoratori per i quali è stata decretata, potrebbero non percepirla fin oltre metà maggio. Ci sono poi gli altri casi di ammortizzatori sociali. Sull’ordinaria, diverse imprese hanno provveduto ad anticipare: il manifatturiero ha potuto contare su molteplici intese in questo senso. «Ma questi accordi – ricorda Salvatore Monteduro, segretario della Uil del Lario – non sono possibili nella cassa in deroga». Tra chi invece ha il fondo di solidarietà bilaterale ci sono notizie migliori: in diversi casi, i soldi sono arrivati. E poi c’è il Fondo d’integrazione salariale (diffuso ad esempio nel turismo): qui le risorse sono uscite, ma metà domande finora sono rimaste escluse.

Casi particolarmente gravi, rileva Marco Fontana, segretario provinciale Filcams Cgil, riguardano comparti come la ristorazione e la vigilanza. Per il primo, racconta la sua storia Elisabetta Olivo: «Noi ci siamo fermati il 20 febbraio, quando le scuole sono state chiuse già per il Carnevale. Il nostro lavoro di ristorazione è legato proprio a loro, che riprenderanno anche per ultime. Il primo stipendio, lo avremo a ottobre, se va tutto bene».

Nel frattempo, la cassa non si è vista: «E ci sono situazioni pesanti, anche di marito e moglie che lavorano qui. Siamo una sessantina, cerchiamo di sostenerci. Ma stare tanti mesi senza stipendio è davvero difficile. L’azienda, dove mi trovo bene, siamo una bella squadra, ci ha aiutato in altro modo».

Liquidando la tredicesima o la quattordicesima, piccoli segnali preziosi da alcune ditte. Rosario Minichini lavora nella vigilanza: «A marzo abbiamo sopperito con le ferie arretrate. Poi non è stato più possibile. Facciamo anche un mestiere per cui rischiamo la vita ogni mattina».

La cassa in deroga non arriva e tutto incide: «Anche non avere i premi, o persino i ticket restaurant con cui almeno potevi fare la spesa». E aggiunge: «C’è chi ha provato a chiedere in banca l’anticipo. Ma c’è tutta la documentazione da presentare…» Anche Carmen Molinaro, operaia nel settore logistico, non ha visto ancora nulla: «Negli ultimi quindici giorni di aprile abbiamo lavorato, ma ci sono gli arretrati di marzo. Parlo a nome mio ma anche delle mie colleghe, alcune delle quali vivono ulteriori difficoltà perché hanno bimbi piccoli e magari sono sole o con il marito disoccupato. Qualcuno ha provato a chiedere l’anticipo alle banche, ma a quanto pare mancava un documento dell’Inps».

Le famiglie

Alessandra Bartesaghi fa l’operaia in un’industria alimentare, ma in particolare nel segmento che si occupa di ristoranti. Quindi tutto fermo: «E io ho un bimbo di otto anni, sono sola. Per fortuna avevo messo da parte qualcosa, ma se non arriva la cassa integrazione, i problemi cresceranno. Lo Stato ci sta mettendo sul lastrico».

Antonello Baza, in una piccola impresa metalmeccanica, aveva a sua volta portato alla luce il problema. Almeno lui, però, ha una buona notizia: «Essendo artigiani e avendo un fondo di solidarietà bilaterale, ho ricevuto nei primi giorni di maggio il rimborso dei giorni di cassa di marzo». Un sollievo comune a diversi lavoratori di aziende artigiane.

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