A Como manca
il fare squadra

E così siamo rimasti senza Provincia. Nel senso di ente pubblico, naturalmente.

Negli ultimi mesi, dal loden di Monti in poi, il destino di Como ha seguito l’andamento di un cardiogramma. Da potenziale supercapoluogo di provincia di Lecco, Varese e Sondrio, è stata per un certo periodo declassata a semplice comune della provincia di Monza, quindi a vicecapoluogo della provincia di Varese, alimentando o deprimendo di volta in volta sentimenti a cavallo tra campanilismo e tifo da stadio. Poi è arrivato Renzi, che ha tagliato la testa al toro. E alle Province, appunto.

Senza addentrarsi sui pro e sui contro dell’operazione, il che sarebbe pure inutile visto che la decisione ormai è stata presa, di primo acchito l’abolizione della Provincia di Como apre un problema di rappresentanza. Di trovare cioè un interlocutore per i problemi del nostro territorio, al quale rivolgere le nostre istanze. Da oggi Como, non più provincia di seicentomila di abitanti, ma insieme di 160 comuni in ordine sparso, il più grande dei quali ha ottantamila residenti, deve confrontarsi direttamente con la metropoli milanese. Meglio, ha come concorrente la metropoli milanese per conquistarsi un posto al sole. Vale a dire considerazione, peso, per segnalare i problemi, evidenziarne l'urgenza, sostenere le soluzioni e trovare i finanziamenti.

Inizia un’era nuova, insomma, che dovrebbe incoraggiare il gioco di squadra, perché per quanto bravo e convincente possa essere, un sindaco di Como, di Cantù o di Erba adesso ha meno peso specifico di prima. Questo vale per noi come per Varese, Lecco o Mantova. Da noi preoccupa un po’ di più, perché se c’è una disciplina nella quale Como non ha mai primeggiato è proprio il gioco di squadra. Basta guardare alla fresca vicenda dei finanziamenti Cariplo, che è riuscita a creare due fazioni contrapposte, i sostenitori del campus universitario contro i sostenitori del progetto Villa Olmo. E ora che la decisione è stata presa, a favore della sistemazione della villa e del parco, ecco il via alle recriminazioni e alle accuse.

Un ruolo importante, adesso più di prima, dovrà essere quello dei quattro consiglieri regionali, rimasti sostanzialmente l’unico anello di collegamento tra il nostro territorio e Milano. Persone valide e presenti, senza alcun dubbio, in un contesto però che vede Como relegata al ruolo di comprimaria. È dai tempi di Ettore Albertoni, assessore dal 2000 al 2006 per la Lega Nord,che Como non ha un rappresentante nella giunta regionale. Prima di lui c’era stato solamente Giorgio Pozzi, di Forza Italia. Eppure ci troviamo nel Mugello del centrodestra, dove Berlusconi & C hanno sempre fatto il pieno di voti, anzi di più. Siamo anche in un’area a forte connotazione leghista, eppure nella giunta assai verde di Maroni non si è trovato spazio nemmeno per un comasco.

La situazione non cambia molto se si allarga lo sguardo da Milano a Roma. I nostri rappresentanti in parlamento non sono mai arrivati nella sala dei bottoni, ad eccezione di Corrado Passera, che al governo è però andato come manager e non come espressione della politica. Così come Lucio Stanca.

Il risultato di questa latitanza? Una tangenziale a metà che non serve e rischia pure di fermarsi, strade anni Sessanta, incroci di tir in strettoie medievali, treni veri che fanno rimpiangere il ventennio e treni metaforici sui quali non riusciamo mai a salire. In quello sì che siamo bravissimi: perdere i treni che passano. E anche a Como ne passano sempre di meno.

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