Abbadia: tragedia
con due vittime

È notte fonda sul lago, davanti ad Abbadia Lariana, quando nel buio, una giovane donna, venuta dall’Africa e precisamente dalla Costa D’Avorio ormai da una decina d’anni, nella sua casa, sente dentro di sé un buio più scuro della notte crescergli dentro, per portarla verso una tragedia inspiegabile.

Le forbici, il sangue, il figlio di due anni e mezzo che non ce la fa a sottrarsi a quella violenza: la notte nera lascia dietro di sé la morte dell’innocente e il dolore infinito di una madre, alla quale resta l’altra figlia, una bambina di undici mesi. Diventa difficile trovare le parole per

raccontare questo buio che improvvisamente annienta la coscienza e fa cadere in balia di quel male distruttore che non guarda in faccia nessuno, nemmeno gli innocenti, anzi su di questi sembra volersi accanire con più forza. Anzi, sembra voler distruggere una storia serena di vita quotidiana, quella di una famiglia ben integrata nel territorio, ben voluta da tutti, un padre artigiano, la giovane moglie che viene da lontano, due figli da crescere, una storia che ci racconta come l’incontro tra culture diverse sia possibile, nella normalità, senza rumore.

Eppure il buio di una notte d’autunno ha colto di sorpresa, ha gettato nella disperazione e nell’impossibilità di spiegare il perché di un gesto così violento, all’interno di una casa dove tutto sembrava seguire il ritmo naturale della vita. Il mistero delle azioni umane e delle sue ragioni più profonde ci impedisce anche di azzardare ipotesi: la giovane donna potrebbe essere stata colta da un raptus di follia o anche una crisi depressiva post-partum potrebbe averla portata ad un gesto così crudele e distruttivo. Sono però solo possibili ragioni, che non riusciranno a spiegare mai perché la donna abbia rivolto con violenza contro il figlio quelle forbici.

Resta solo lo stupore di fronte ad una tragedia, dalla quale emergono, nel loro infinito dolore, non una, ma due vittime: il bambino che ha perso la vita e la madre che lo ha colpito, vittima anche lei del proprio atto violento, perché per una madre non è difficile cancellare quegli attimi in cui la sua coscienza si è offuscata e la ragione non ha trovato una luce che potesse rischiarare il buio incombente. Per lei sarà ancora più difficile, soprattutto quando prenderà coscienza di quanto è accaduto e questo sarà come un macigno sulla coscienza, che lentamente bisognerà aiutare a rendere meno pesante, per restituire a lei quella pace e anche quella speranza nella vita che le forbici insanguinate hanno tagliato nella sua vita.

Non si tratta qui di giustificare un gesto che ha avuto conseguenze gravissime, ma di capire quanto sia debole la natura umana e quanto la nostra fragilità possa portarci oltre il limite consentito, possa indurci e armarci contro i nostri stessi affetti, senza esserne per nulla consapevoli. E doverne poi sentire la ferita nella nostra anima, prima che questa rimargini l’infinito dolore e possa spiegare quel paradosso che può portare ad uccidere coloro a cui si è dato la vita, senza volerlo veramente, solo perché d’improvviso il buio ci acceca e il male devasta il corpo e il cuore degli innocenti.

Solo la pietà può salvarci e dare una risposta a quanto è successo in questa notte di fine ottobre. Il giudizio non serve e la spiegazione potrebbe essere sempre arbitraria: la pietà può restituire a noi la dignità di saper contemplare questo grande e infinito dolore, che vede, non separati, ma uniti, indissolubilmente, il figlio morto e la madre che ha ucciso.

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