Comuni: la sicurezza
non serve a fare cassa

C’era un tempo in cui guardie e ladri si affrontavano nel cortile della nonna, tra la merenda e l’ora della cena. E il solo motivo di tensione erano gli schiamazzi che impedivano ai più anziani di schiacciare la pennica pomeridiana. Erano tempi nei quali si poteva lasciare la porta di casa aperta, senza doversi blindare come in prigione per difendersi da delinquenti che, in prigione, non ci vanno praticamente mai. Ma erano anche tempi nei quali i telefoni cellulari non erano neppure sognati, internet una parola del tutto sconosciuta e la tecnologia si limitava a una televisione a colori e a uno Spectrum Sinclair o al Commodore 64. Non venga letto, l’incipit, solo come un’operazione nostalgia. Perché in questa immagine si può scorgere una chiave per aiutare i cittadini a sentirsi un po’ meno vulnerabili.

Guardie e ladri, si diceva. Mentre la seconda categoria è peggio della gramigna, la prima non sempre è visibile tra quartieri e paesi. I furti sono un reato difficile da prevenire, certo, ma lo sforzo messo in campo negli ultimi due giorni dalla Questura con la presenza di più pattuglie sulle strade - tanto per citarne uno dei quartieri più presi di mira - di Albate, nel pomeriggio di sabato (ne scrive Stefano Ferrari a pagina 9) ha sicuramente consentito di sventare nuovi assalti in casa, ha permesso di recuperare una costosissima Audi rubata a Milano e ha quasi portato all’arresto dei ladri. Il che significa che, proprio come nel gioco della nostra gioventù, più guardie sulla strada si traducono in meno ladri liberi di agire.

Certo, poi c’è il problema di garantire alle guardie strumenti se non altro all’altezza di quelli di cui possono disporre i delinquenti. La narrazione dell’inseguimento di sabato per le vie della città dimostra che spesso gli agenti sono costretti a svuotare l’oceano con un cucchiaio. Senza voler tornare su vecchi refrain legati agli stipendi dei poliziotti (di quelli impegnati sulla strada a garantire la sicurezza)non certo all’altezza del rischio che corrono, cosa potrà mai fare il motore di una Fiat Bravo contro quello di un’Audi A5?

Ed è qui che entra in gioco il salto tecnologico tra le corse nei cortili della nonna e quelle a sirene spiegate per le vie della città. In un’epoca in cui anche i sospiri possono essere monitorati e i volti catalogati e individuati grazie a un computer, in provincia di Como - salvo casi isolati - i Comuni investono i propri soldi non sulla sicurezza, ma solo su quelle telecamere che consentono di far cassa, ovvero quelle capaci di tracciare le targhe di chi non paga l’assicurazione o il bollo. Se sabato, all’ingresso della città, ci fosse stata una telecamera che cerca in tempo reale le targhe delle auto rubate o sospette e trasmette eventuali allarmi direttamente a polizia e carabinieri, l’Audi A5 rubata sarebbe stata intercettata indipendentemente dal fiuto dei poliziotti. E, probabilmente, gli agenti avrebbero avuto il tempo per organizzare un bel comitato di benvenuto che avrebbe impedito ai ladri di far perdere le loro tracce.

Ricordate Claudio Giardiello, l’imprenditore fallito responsabile della strage al Tribunale di Milano, la scorsa primavera? La sua fuga venne interrotta da un maresciallo dei carabinieri il cui telefonino, collegato al software delle telecamere di controllo montate su una strada milanese, lo aveva avvisato del passaggio del ricercato. E così era riuscito a fermarlo.

Fare di Como una provincia più sicura è compito di tutti. Nostro (quando non giriamo la testa di fronte a un movimento sospetto o un allarme che suona), delle forze di polizia (più agenti sulla strada), e degli amministratori, chiamati a decidere su cosa davvero vale investire. E la sicurezza dei cittadini non sembra un brutto obiettivo.

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