Contributi volontari
e senso della scuola

hanno il Suv ma gli mancano trenta euro per la scuola dei loro figli? Improbabile, anche perché, per non fare qualunquismo (accusa mossa da una mamma dell’Associazione genitori alle tante famiglie che non hanno versato il “contributo volontario” alla media Foscolo senza dare spiegazioni) bisogna intanto riconoscere che anche in via Borgovico c’è chi porta a scuola i figli con l’utilitaria vecchia di dieci anni e più. Però è pur vero che delle differenze socio-economiche esistono tra questo istituto comprensivo e quello di Rebbio, dove la quasi totalità dei genitori (oltre la metà stranieri) ha invece versato il “balzello” senza battere ciglio. Allora, forse, qualche domanda bisogna porsela su come viene percepita e vissuta la scuola da mamme e papà.

Ormai, il “contributo volontario” non è più una novità. Nelle scuole dell’obbligo comasche se ne parla da oltre un lustro (nelle superiori da molto di più). Il primo a sfidare il limite fissato dall’articolo 34 della Costituzione italiana («La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita») fu l’Istituto comprensivo Como Borghi. Sebbene anche la legge 76 del 2005, quella che ha elevato a 10 anni il diritto-dovere di andare a scuola, avesse ribadito l’assunto costituzionale («nelle istituzioni scolastiche statali la fruizione di tale diritto non è soggetta a tasse di iscrizione e di frequenza»), il dirigente si era appellato a un altro comma, ovvero la legge 40/2007, che ammette erogazioni liberali a favore delle scuole, peraltro detraibili dalle tasse, purché destinate «all’innovazione e all’ampliamento dell’offerta formativa».

Premesso che né i genitori, né tantomeno gli scolari, sono tenuti ad essere dei giuristi, dopo sei anni di polemiche, sembra meglio spostare l’attenzione sull’aspetto pratico e su quello umano della “collaborazione economica” che le scuole continuano a chiedere, in forma sempre più marcata e sempre meno volontaria, alle famiglie. Forse, se alla Foscolo più della meta dei genitori non ha messo mano al portafogli è perché manca quella «cultura della solidarietà e della partecipazione responsabile» cui si appellò il dirigente di Como Borghi quando per primo chiese ai genitori di mettere mano al portafogli, spinto (va detto e ricordato) dalla necessità di colmare almeno un poco il buco che il taglio dei contributi statali ha progressivamente scavato nel bilancio di tutte le scuole. Ma gettare la croce addosso ai genitori che non pagano non risolve il problema. La mancanza di partecipazione, che 40 anni di organi collegiali più di facciata che di sostanza non ha colmato, è un problema che nasce da entrambe le parti, scuola e famiglia, e che solo insieme si può risolvere.

Purtroppo, restando sulle scuole medie, non è raro che genitori di ragazzini che condividono il banco si limitino ad incrociarsi frettolosamente davanti a scuola per tre anni, senza mai nemmeno presentarsi. Che a Rebbio vi sai un senso di partecipazione, e di comunità, maggiore che in Borgo Vico? Per dare una risposta fondata, bisognerebbe provare ad adottare tutti quelle pratiche virtuose che qualche scuola comasca ha pur sperimentato negli ultimi anni: niente contribuiti poco volontari e poco chiari, ma iniziative per raccogliere fondi mirati in cui i genitori partecipino davvero (dal dvd della recita registrato da un papà e venduto a 10 euro per comprare i computer per la scuola, al cineforum del sabato pomeriggio con merenda preparata dalle mamme e biglietto simbolico di 3 euro per pagare il corso di teatro). Magari, con queste attività, non si saranno raccolte decine di migliaia di euro, ma ci si è riconosciuti tutti quanti, docenti, alunni e genitori, nel progetto che dovrebbe accomunarci. Quello di educare, ovvero “tirar fuori”, come insegna l’etimologia. Non solo i danée, ma il meglio di sé.

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