Costruzione di un amore
distrutta dai lucignoli

I fotogrammi degli ultimi giorni sulla situazione migranti ricorda vagamente la storia dell’uccellino che Terence Hill racconta a Henry Fonda in “Il mio nome è nessuno” di Sergio Leone. Storia impossibile da sintetizzare in un editoriale, ma la cui morale può essere riassunta così: non tutti quelli che pensi siano lì per metterti nei guai lo fanno per il tuo male, così come non tutti quelli che si propongono per aiutarti lo fanno per il tuo bene. Hanno bei sorrisi, e abbracci da elargire, e parole di amicizia e conforto i “no borders” e i “solidali” che da alcuni giorni sono presenti ai giardini di San Giovanni. Ma hanno anche una loro missione da portare avanti. Una battaglia di ideali da combattere che a slogan sembra cucita su misura per la situazione dei migranti bloccati a Como da mesi, ma che nella realtà si sta trasformando in un boomerang che finirà per far del male ai ragazzi e alle ragazze e ai tanti minori che chiedono solo di poter proseguire il loro viaggio verso il Nord Europa.

Come un novello Lucignolo, in pochi giorni questa frangia politicizzata che odia regole, polizia e confini ha distrutto due mesi di lenta e paziente costruzione di un amore che sembrava impossibile tra una città tradizionalmente chiusa e quelle centinaia di persone in fuga da fame, miseria, persecuzioni, violenze. Amore, certo, perché al di là di una inevitabile opposizione (anche in questo caso in buona parte politicizzata) di chi non accetta la presenza dei migranti a San Giovanni, la mobilitazione spontanea di centinaia di comaschi per offrire il proprio aiuto, il cui esempio più luminoso è senz’altro la mensa di Sant’Eusebio, ha presentato un volto che smentisce i luoghi comuni su un territorio che pensa solo al guadagno e al lavoro e che non ha tempo per gli altri. Suona davvero come un paradosso che sia proprio la distribuzione dei pasti a Sant’Eusebio la scusa usata per alzare la tensione. Lo sciopero della fame di centinaia di migranti appare tanto pretestuoso quanto assurdo. Così come l’accusa ripetuta da alcuni “no borders” ai finanzieri e ai poliziotti durante gli scontri di ieri: “Volete affamare le persone”. Come se la concomitanza tra la comparsa di queste frange – provenienti anche dalla Svizzera – e la decisione dei migranti di disertare la mensa possa essere considerata un semplice caso. «Un folto gruppo di migranti ha deciso autonomamente ed è in lotta contro le frontiere e la polizia» si legge sulla pagina facebook “Abbattere le frontiere”, a conferma del fatto i “no borders” hanno passato, come uno scomodo testimone, la propria battaglia a ragazzi facilmente suggestionabili e infiammabili.

Per comprendere il danno che è stato fatto negli ultimi giorni, basterebbe leggere i post su facebook del gruppo dedicato alla mensa solidale di Sant’Eusebio. Post che testimoniano l’entusiasmo di centinaia di persone di ogni estrazione. Perché chi accusa la Caritas di aver voluto accentrare la gestione dei pasti, dimentica che chi fino ad oggi ha gestito l’emergenza senza tensione alcuna è un gruppo eterogeneo di volontari. Perché accanto ai cattolici legati alla Caritas hanno garantito pasti e sorrisi e consigli e parole d’affetto anche ex comunisti, sindacalisti, atei, pure qualche ex di Alleanza Nazionale, pentastellati, nauseati dalla politica, uomini e donne di chiesa, ma anche musulmani, giovani e anziani e talvolta qualche ragazzo. Di tutto avevano bisogno i migranti che della lotta dei “solidali” il cui unico risultato è aver creato per la prima volta, dall’inizio dell’emergenza, tensioni con le forze di polizia il cui ordine è evitare lo scontro. Il virus dell’ideologia e della contrapposizione a tutti i costi è stato inoculato. E rischia di pagarne le conseguenze chi avrebbe più bisogno di essere aiutato.

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