Da Silvio a Matteo
la stessa strategia

Non c’era bisogno dell’incontro con Berlusconi per capire chi è Matteo Renzi e dove si colloca esattamente il suo pensiero nella topografia politica italiana. I suoi epigoni usano glorificarlo come il rappresentante di una sinistra moderna e pragmatica mentre per i suoi detrattori è solo un bieco democristiano, scaltro e cinico come piace agli italiani.

In fondo, siamo pur sempre il paese di Machiavelli secondo il quale un bravo Principe “non deve mai dire quello che pensa e non deve mai pensare quello che dice”. In questo senso, Matteo
Renzi dimostra di saperla lunga per cui risulta del tutto ozioso ogni tentativo di collocarlo secondo gli schemi tradizionali. Renzi, infatti, non è né di sinistra, né di destra. È il miglior prodotto dell’evo berlusconiano che, azzerando le vecchie categorie della politica, ha inaugurato una nuova fase, quella della post-politica.

Renzi è un vero animale televisivo, svelto, brillante, arguto e pirotecnico: come dire, un “toscanaccio” furbacchione che ama il “coup de theatre” per realizzare il quale spesso occorre disegnare movimenti a geometria variabile. In quest’ottica, Renzi non esita a trattare la legge elettorale con Berlusconi, la riforma del lavoro con Landini e, se servirà, la riduzione dei costi della politica con Grillo. Un gioco a tutto campo che spiazza avversari e alleati, avvezzi tutti a giocare di rimessa con l’ignavia di chi si accontenta di non perdere i propri privilegi.

Nella storia della democrazia del nostro paese, Renzi rappresenta l’approdo finale di un percorso iniziato con Berlusconi il quale, vicende giudiziarie a parte, è sempre rimasto a galla senza esitare ad usare tutti i suoi alleati per poi annientarli. La legge elettorale viene concepita da entrambi come astuto espediente per realizzare una versione plebiscitaria di democrazia nella quale i partiti sono destinati a diventare gusci vuoti, meri convitati di pietra di una dialettica televisiva giocata tra pubblico e leader. Invero, la cosa più stupefacente a cui stiamo assistendo consiste nelle inaspettate piroette della stampa di sinistra, per anni spietata con il Cavaliere, al quale ha costantemente rinfacciato l’irrefrenabile vocazione populista. Di contro, con Renzi, anche le firme più “roboanti” del nostro giornalismo sembrano essere cadute improvvisamente in deliquio.

A costoro andrebbe ricordato che, dopo avere vinto le primarie del Pd, Renzi non ha esitato a nominare una segreteria di soli fedelissimi, quasi si trattasse di un consiglio di amministrazione. Lo avesse fatto il Cavaliere, si sarebbe gridato allo scandalo. In ogni caso, il disegno di Renzi resta quello di sottrarre voti alla destra per compensare le prevedibili perdite che ci saranno a sinistra. La sensazione è che la cosa non dispiaccia a Berlusconi che, sentendosi sufficientemente garantito dal Sindaco di Firenze, potrebbe perfino offrirgli un agnello sacrificale (Toti?) e mettere in liquidazione la destra, ormai inservibile alla causa. Per questo motivo, curiosamente, Matteo Renzi gode anche delle simpatie della stampa di destra. Anche in questo consiste la straordinarietà di Renzi, sindaco di Firenze: già, la stessa città di Niccolò Machiavelli!

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