Fare festa al tempo
dei metal detector

Il colpo d’occhio non tradisce. Basta posare gli occhi - un secondo, non di più - sulla foto della piazza scattata dalla torre del Broletto. La memoria corre a richiamare quella dell’anno scorso e quelle degli anni precedenti, fa il paragone e in un istante stabilisce che, sì, il “pieno” di oggi è un po’ meno “pieno” di quello di ieri. Tra un corpo e l’altro, nella massa che, vista da tanta altezza, si fa nereggiante, sembra insinuarsi dello spazio vuoto. C’è insomma qualche “buco”, a testimoniare che per la Befana 2017 la piazza del Duomo non era stipata, per così dire, alla massima capienza.

Eppure noi, davanti alle piazze così come al cospetto dei bicchieri, insistiamo nel dire che le troviamo mezze piene e non mezze vuote, tanto più quando - e questo è il caso - praticamente piene lo sono per davvero. Poterlo proclamare, pur con la doverosa annotazione di qualche presenza in meno rispetto agli anni precedenti, ci fa tanto piacere perché di questi tempi, a Como come nel resto del mondo, partecipare a qualcosa, stare insieme, fare festa o assistere a uno spettacolo è diventato fisicamente impegnativo, praticamente difficile e psicologicamente inquietante.

Ieri, per accedere alla piazza comasca occorreva superare un metal detector. Detto così, sembra solo la registrazione di una ovvia cautela, dopo quanto si è visto e letto nei notiziari: in realtà si è trattato di un passo clamoroso e, da un punto di vista della collettiva sensibilità cittadina, quasi rivoluzionario.

Per entrare nella piazza che tutti i comaschi conoscono come le loro tasche, era obbligatorio sottoporsi a un controllo familiare soltanto quando ci si avvia a metter piede su un Boeing, e neanche lì, in aeroporto, quella che pure è una routine ci sembra “normale”, ovvero priva di implicazioni: se qualcuno si prende la briga di controllare, una ragione (leggi: un pericolo) ci sarà. Più di recente, i detector davanti a chiese, monumenti e palazzi pubblici sono diventati nelle grandi città installazioni comuni, così come le camionette dell’Esercito e i militari con i fucili automatici. Scene di battaglia, eppure in qualche modo rassicuranti: in fondo, autorizzano a pensare che la prima linea della guerra all’infame terrorismo passi solo per le metropoli o nei luoghi simbolo della politica e della cultura.

Invece, eccoli qui: i metal detector in piazza del Duomo. Come evitare una sensazione di disagio, addirittura di straniamento? Un passo ancora e li avremo sul pianerottolo o perfino in casa, giusto per sincerarci che il giovanotto venuto ad aggiustare la caldaia non sia in realtà un idraulico irretito dall’Isis. Eppure, a dispetto dello straniamento e del disagio, dell’attesa e dell’inquietudine, la piazza si è riempita, la festa c’è stata e - dettaglio che colma il tutto di significato - i bambini si sono divertiti. Sembra quasi un’umiliazione, questo inchinarci al metal detector per entrare in una piazza che è nostra, ma la sconfitta più dura sarebbe stata se i vuoti avessero prevalso sul pieno, se la Befana in piazza fosse stata battuta da quella a casa, celebrata dietro una serratura a quattro mandate tanto per non rischiare, giusto per quieto vivere.

Hanno portato il terrorismo dai campi di battaglia alle città, dal fronte ai resort e, ora, bussano a distanza alle nostre case. Ma nonostante la paura e l’inquietudine, e nonostante tanti ci dicano che dovremmo avere ancor più paura, che la paura non basta mai, la Befana sconfigge il terrorismo. Dunque, contesi tra le minacce di un criminale fanatico e i capricci di un bambino che a tutti i costi vuol andare alla festa, ancora cediamo alla dolce violenza del secondo. E questo è buono e giusto.

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