Grill0 e la legge
del senno di poi

Se le fosse sono piene del senno di poi, significa che non si usa molto il senno di prima. Chissà se Beppe Grillo, tra una minaccia di impeachment per Napolitano e uno strale quotidiano rivolto al Pdl e al Pd senza l, trova un momentino per rimuginarci sopra.

Perché alla fine, con il caso Berlusconi che occupa gran parte dello spazio mediatico e il governo di Enrichinosempreinpiedi Letta che sembra destinato a reggere nonostante i capitan Fracassa del centrodestra e lo spettro delle elezioni, l’impressione è che i margini di manovra delle truppe pentastellate si riducano sempre di più. Pensare che il movimento fondato dall’ex comico rappresenta più di un quarto dell’elettorato. Una massa di voti che rischia di condividere il destino dei Kleenex usati. Consensi anche di opinione, espressi da chi cercava un’alternativa concreta ai fatui e inconcludenti partiti tradizionali, se così si possono ancora definire. In verità anche i grillini sembrano essere stati contagiati dalla malattia contratta da quasi tutte le forze politiche italiane: fare interessi di parte o dei rispetti leader in luogo di quelli generali e dei propri elettori (se non in modo marginale perché comunque prima o poi le cabine ritorneranno). Se il Pdl persegue l’agibilità politica (qualunque cosa significhi) del suo leader, il Pd le velleità di ciascuno dei tanti capibastone che lo infestano, la Lega coltiva la dicotomia Maroni-Bossi, il 5 Stelle sembra alimentare solo la visibilità del signore-padrone Grillo, magari obtorto collo da parte di chi è sbarcato a Roma un po’ stralunato come il Marziano di Flaiano, ma armato di buone intenzioni. E se il Beppe non avesse smarrito il senno subito dopo la sbornia elettorale di febbraio, probabilmente la politica non si troverebbe sotto il paradossale scacco di un condannato in via definitiva per reati fiscali e in attesa di altri giudizi. Detto che forse questo strano governo delle larghe intese e delle vaste disattese ha un forse un effetto camomilla sulle speculazioni internazionali e che alla fine potrebbe anche essere il migliore dei mondi possibili in questo momenti (tesi cara dalle parti del Quirinale), resta in sospeso l’interrogativo di che cosa avrebbe potuto rappresentare di innovativo un esecutivo con dentro i grillini decisi a dare una chance concreta all’elettorato di opinione che li ha privilegiati. Il primo effetto che viene in mente è quello su Berlusconi. Il Cavaliere sarebbe del tutto disarmato e rassegnato un esilio politico più di quanto possa apparire adesso. Inoltre, sul Colle più alto della politica non alloggerebbe l’esecrato (da Grillo) Napolitano, costretto a un bis per nulla cercato, ma un altro presidente approvato anche dai Cinque Stelle. Alla fine, per restare nel paradosso, si potrebbe affermare che anche Grillo, con il suo Aventino virtuale, ha contribuito a creare quelle condizioni politiche che continua a combattere. Insomma, se non l’ha fatto apposta, il Grillo non l’ha indovinata, a scapito dei suoi stessi compagni di avventura nel Cinque Stelle che hanno perso l’occasione per aprire una fase politica nuova nel Paese e costringere anche il Pd a rincorrerli. Opportunità che ora hanno lasciato nelle mani di Letta o Renzi o di ciò che nascerà nel centrodestra, una volta che sarà definito il destino di Berlusconi. E se davvero i pretoriani del Cavaliere rovesceranno il tavolo, molti voti in libera uscita del 5 Stelle potrebbero tornare nelle caserme di centrosinistra e dei centrodestra da cui sono partiti. E il senno di poi si accumulerà ancora nelle fosse. Il dubbio è che forse a Grillo possa andar bene anche così. Molti nemici, molto onore.

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