I ragazzi di San Siro
luci del calcio

È che noi giornalisti abbiamo questo viziaccio di cercare l’uomo che morde il cane. Perché fa notizia più del suo contrario. Perciò se ci capita una squadra di calcio giovanile (categoria esordienti Csi, età 12-13 anni) che perde tutte le partite, incassa caterve di gol e ne segna pochini, eppure tutti i suoi giocatori sono felici e contenti, non ci par vero.

La storia, l’avrete letta ieri nelle pagine delle cronache di Lago e Valli. I ragazzi del San Siro “nero” impegnati appunto nel campionato giovanile Csi, settore giovanile scolastico, hanno portato a casa 36 sconfitte su altrettante gare disputate. Eppure non si lamentano e non sono frustrati. Anzi continuano a svolgere la loro attività calcistica con impegno ed entusiasmo. Se questo è l’uomo che morde il cane, però, la colpa non è dei ragazzi di San Siro. E, per una volta, neppure dei giornalisti. Perché il fatto di giocare per divertirsi e saper accettare la sconfitta senza drammi non dovrebbe rappresentare, a questi livelli calcistici, l’eccezione, bensì la regola.

All’età beata di questi ragazzi, infatti, il gioco del pallone, lungi dall’essere ancora un mero spettacolo o un business come accade in progressione mammano che si sale, è solo un gioco, appunto. Lo dicono ad ogni livello, tutte le organizzazioni calcistiche dell’orbe terracqueo, dalla Fifa, alla Uefa alla Figc. Le “grida” sul divertimento come unico fine, a prescindere dal risultato, si sprecano. Anche se spesso diventano carta straccia. Disposizioni ignorate o interpretate in maniera spudorata all’insegna del “fate quel che dico non quel che faccio”.

Chi frequenta i campetti in cui si giocano i campionati giovanili ha ben presente questa realtà. Quasi sempre conta vincere, non importa come. Le motivazioni sono anche comprensibili. A volte bisogna assecondare le volontà di papà e mamme convinti di aver messo al mondo un nuovo Messi. Molte società devono fare i conti con il rischio di un esodo di ragazzi , attratti dalle squadre che stanno sempre in cima a classifiche, le quali peraltro non hanno alcun senso e non determinano gratificazioni come trofei o menzioni in albi d’oro. Proprio perché lo spirito non dovrebbe essere quello della competizione. Poi sono gli stessi ragazzi che se non vincono si abbattono, si avviliscono, perdono gli stimoli, cedono autostima. E allora istruttori e dirigenti per assocondarli finiscono con il piegarsi a logiche che magari non condividono del tutto. Purtroppo questo andazzo è anche una delle cause dell’abbandono precoce dell’attività. Perché se il divertimento diventa stress alla lunga fa sentire i suoi effetti. Ma è davvero difficile per il movimento invertire una rotta che però porta pochi benefici anche al calcio che conta, come si vede dai risultati degli ultimi anni della Nazionale e dei nostri club quando mettono il naso fuori d’Italia. Per questo l’approccio della San Siro è encomiabile. E questi ragazzi con i loro istruttori e dirigenti meriterebbero un segnale di attenzione. Oltretutto se vi sono delle luci a San Siro, di questi tempi, si trovano più in centro lago di Como che non sul terreno dello stadio di Milano.

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