Il libro più brutto
l’ha scritto il Comune

Como, abbiamo un problema. Più di uno, è vero. Ma uno in particolare: la propensione all’autogol. Stupisce che non si sia pensato a cambiare l’intitolazione di una via del centro (magari proprio la via Vittorio Emanuele II: dopo tutto la monarchia ha fatto il suo tempo, oggi preferiamo i demagoghi) per onorare la memoria di un comasco, se non per nascita, quanto meno per affinità caratteriale: Comunardo Niccolai, ex calciatore di Cagliari e Perugia, ricordato per l’insistenza e l’estro con cui cercava di fare gol nella porta della sua stessa squadra.

Da via Niccolai, giù lungo via Plinio per ammirare il primo autogol della serie: Como ha uno dei laghi più belli del mondo (diciamolo: il più bello) ma si è spesa, dapprima, per costruirvi un muro davanti e poi, una volta che questo è stato miracolosamente tolto di mezzo, per alloggiarvi in via permanente un cantiere inaccessibile e ristagnante.

Da via Niccolai, giù per via Plinio, a sinistra sul, ehm, lungolago, fino a Parolario, per il secondo gesto di autolesionismo. Vediamo una gran folla accalcarsi all’ingresso di Villa Gallia. Che cosa succede? Succede che la città del lago invisibile ha un’esondante voglia di cultura. Purtroppo, seguendo la logica di Niccolai, dei muri e dei cantieri abbandonati, si è deciso di stiparla nello spazio più angusto possibile.

E’ accaduto sabato sera agli incontri di Parolario che vedevano ospiti Federico Roncoroni e Mauro Corona. Nel primo caso, lo straordinario “one (intelligent) man show” del professore si è svolto in una sala piena all’inverosimile, con tanta gente rimasta fuori; nel secondo, si è ricorsi alla soluzione più drastica e paradossale: vuota la villa, pieno il prato. Tutti all’improvvisato pic-nic culturale, solo per grazia ricevuta risparmiato dalla pioggia. Poche decine di metri più in là, l’imponente Villa Olmo e la sua “grande mostra” visitata, in quelle ore, soltanto dagli spiriti degli artisti e da uno scoiattolo di passaggio, venuto in realtà per Corona ma scoraggiato dalla calca.

Una volta, quando Como aveva un’amministrazione di centrodestra, veniva spontaneo prendersela con la politica figlia dell’immagine e dell’avidità, con lo stile avventuroso quando non spregiudicato dei suoi eletti, per qualcuno tutti affaristi e rapaci. Politici di plastica, improvvisati, maneggioni e parenti neanche tanto alla lontana di quel Cetto La Qualunque del “pilu per tutti”. E avanti, allora: arroganti, populisti, faciloni, gente – così si diceva – che nei libri si ostina a cercare la presa per il caricabatteria.

Vien da chiedersi, adesso, che scusa abbia il centrosinistra, così corretto, colto, sensibile e intelligente (a sentire la descrizione che fa di se stesso) per questo flop di proporzioni gigantesche.

Aver messo in crisi Parolario in un momento, anche storico, in cui proprio il confronto culturale, lo scambio di idee e l’apertura all’ospite dialogante è l’unica possibilità di salvezza e – più ancora – di rinascita sociale ed economica, passerà alla storia come un autogol davanti al quale perfino il buon Comunardo, più sopra citato, avrebbe inorridito. L’errore era già lampante mesi fa, quando venne denunciato dagli organizzatori di Parolario, ma il Comune ha preferito allargare le braccia, rifugiandosi in una pretesa «mancanza di alternative». Balle. Mancano le alternative precotte, questo sì, quelle pronte all’uso: non mancava invece la possibilità – ammessa e non concessa l’impraticabilità di Villa Olmo – di rivedere l’intero concetto logistico di Parolario, coinvolgendo di più il centro storico, rispolverando, se necessario, il tendone in piazza Cavour e cercando di reperire, con spirito di coinvolgimento, spazi nuovi e adeguati per capienza. Si è preferito invece il piccolo cabotaggio, lo “speriamo bene”, il “meglio la mostra mia della rassegna tua”. Che brutta storia! Messa in un libro, non sarebbe degna di Parolario.

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