Il merito è roba
per i paesi seri

Dopo la conclusione del video nel quale il premier Renzi – con una camicia alla Kennedy, un eloquio alla Berlusconi e una mimica facciale alla Fidel Castro – ha annunciato che d’ora in avanti i nostri insegnanti non verranno più valutati in base all’anzianità ma al merito, c’è stato un attimo di silenzio. Un silenzio assoluto. Un silenzio assorto. Un silenzio di neve. Dopo, appena un attimo dopo, da ogni angolo del Belpaese è partita una gigantesca, clamorosa, pantagruelica, sesquipedale, irrefrenabile e, soprattutto, omerica risata. Bastava dare una sbirciata fuori dal

balcone per rendersene conto: chi si teneva la pancia, chi si rotolava nel giardinetto falciato di fresco, chi chiamava lo zio d’America per aggiornarlo sull’ultima di questo paese pittoresco, chi si sbellicava come durante il momento clou della copia restaurata in Hd de “La soldatessa alla visita militare”. Perché una castroneria del genere, da un leader (?) italiano, non la si sentiva dall’epoca in cui quello là aveva detto che si sarebbero spezzate le reni alla Grecia. So’ ragazzi…

È la classica dinamica che permea questa penisola sudamericana finita per caso nel cuore dell’Europa. Arriva sulla scena il meglio politico del bigoncio, mette su un’arietta alla Churchill e inizia a promettere mari e monti, e che sicurezza, che carisma, che tono, che piglio, che occhi di bragia, per poi tratteggiare rivoluzioni copernicane che, nell’inscalfibile credo dell’etica liberale, poggeranno la propria pietra d’angolo sul più magico dei sostantivi. Il merito. E tutto questo giusto un attimo prima - dopo aver cercato in ogni dove la stanza con i suoi bottoni - di prendere due sganassoni da quelli che comandano veramente ed essere rimesso al posto suo, pronto per farsi rosolare a fuoco lento dalle diecimila corporazioni che qui nella repubblica delle banane fanno il bello e cattivo tempo fino a servirlo lesso e stracotto come un Monti qualsiasi. Capito come funziona?

E tutta questa manfrina che va avanti da diecimila anni – destra o centro o sinistra o tecnici che siano – viene inesorabilmente accompagnata dal sarcasmo, dalle pernacchie e dal dileggio di una popolazione stufa e strastufa della solita solfa, raggirata e imbonita da innumerevoli politici da strapazzo, vittima di disservizi e dissipazioni clientelari del denaro pubblico, ma in fondo principale responsabile delle proprie disgrazie. Perché una società civile seria, dotata di cultura, spina dorsale e piena coscienza della propria parte in commedia non avrebbe mai votato certi sarchiaponi e non avrebbe mai permesso lo sfascio sistematico e termitesco del proprio paese. E invece, anche per noi, così come per le nostre meravigliose classi dirigenti, è sempre colpa di qualcun altro.

Il merito, quindi. La meritocrazia. Il trionfo del talento. Roba grossa. Roba da Stati seri, dove la chance per tutti e il successo per pochi, dopo una feroce e inflessibile selezione, è realtà e regola di vita. Roba dove chi vince prende tutto, chi perde comunque ci ha provato e vive la sconfitta non come un fallimento ma come stimolo a lottare, fare meglio e provarci ancora e dove, soprattutto, non è che alla fine ci si mette tutti d’accordo nella più bieca ottica consociativa e cencellesca. E quindi, come è evidente, non è roba per noi, che siamo pur sempre il paese di Longanesi e Alberto Sordi.

Il vero punto è il seguente. Come applicare la meritocrazia salmodiata da Renzi non solo nel mondo della scuola, ma anche in quello di tutto il comparto pubblico e di larga parte di quello privato vissuto fino a ieri nella bambagia di un’economia protetta, assistita e municipalizzata? Solo a pensare a come verrà gestita in Italia questa pratica c’è da andare fuori di testa. Chi stabilirà il merito? Quali i criteri? E chi li deciderà? Come da miglior tradizione, urge commissione paritetica di scopo e indirizzo dove raccogliere il meglio del meglio dell’intellighenzia nostrana: consiglieri delle Province dismesse, sindacalisti moralisti in distacco con il ditino alzato, ex sottosegretari dell’Udc della Ciociaria, intellettuali da terrazza forgiatisi alla scuola delle Frattocchie, suffragette del femminismo degli anni d’oro, reduci della guerra d’Africa, probiviri della società per il Ponte sullo Stretto, vincitori dell’Isola dei famosi, massoni forforosi come quelli de “Un borghese piccolo piccolo” e pure cinefili con l’uzzolo dei film di Nanni Moretti.

E questa composita brigata, tutta seriosa e compunta, dopo anni di duro lavoro stilerà un ponderoso codice deontologico con tutti i parametri e i codicilli grazie ai quali assegnare gli aumenti di stipendio ai docenti più capaci. Che, però, non potrà di certo non prevedere deroghe ed eccezioni. Perché sarà davvero impossibile non assegnare un bonus di fine anno - a prescindere - a una serie di categorie che costituiscono il nerbo della nazione: quelli che hanno partecipato ai corsi di aggiornamento dell’Ordine dei giornalisti, quelli che arrivano da un’area terremotata, quelli che hanno fatto il militare a Cuneo, quelli che a loro li ha rovinati la guerra, e poi quelli con il disagio del nordest, i nipoti del prefetto, i cugini del porporato, le amichette di chi sai tu, i traffichini del ministero e il resto della pletora che contraddistingue la nostra commedia umana.

Perché se anche si consegnassero - come giusto - tutti i poteri al preside, un secondo dopo partirebbe la solita solfa. Chi lo ha scelto? Come è stato selezionato? Chi garantisce che non premierà gli amici degli amici e vesserà invece i duri e puri del sei politico e del tutto a tutti? Chi impedirà di gravare sui poveri lavoratori della malta con l’insostenibilità di insostenibili carichi di lavoro, in confronto ai quali quelli dei bambini che cuciono palloni in Vietnam sono delle passeggiate di salute? Già, chi? Chi può riuscire a sbrogliare questo guazzabuglio? Vasto programma, verrebbe da dire come De Gaulle, soprattutto pensando a chi si riferiva…

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