Il nuovo De Gaulle
che piace al potere

Era un finale già scritto. La “Lunga Marcia” di Matteo Renzi si è conclusa trionfalmente con la conquista di Palazzo Chigi accompagnata dal clangore della grande stampa che non esita a celebrare il sindaco di Firenze come il nuovo fenomeno della politica italiana.

Ponendo fine alle pantomime degli ultimi mesi, Renzi ha gettato la maschera dimostrando un cinismo da vero camaleonte della politica di cui sa abilmente cogliere i momenti topici. La mistica del giovanilismo, di fatto, è stata sconfessata non solo dal modo brutale con cui è stato dato il benservito a Letta ma, altresì, dalla inopinata riesumazione del Cavaliere che resta il vero e unico vincitore di questa lotta fratricida: comunque vada, Berlusconi è tornato in auge e lo sarà per molto tempo ancora, a dispetto di chi lo riteneva morto per sempre.

Energico e decisionista, questa volta Renzi è rimasto vittima del suo ipertrofico “Io” perchè, dopo i proclami iconoclasti delle primarie, l’unica persona finora rottamata sul campo resta il povero Letta. Sarebbe utile ricordare che, in passato, non è mai successo che a sfiduciare un premier fosse il segretario del suo stesso partito per l’irrefrenabile brama di prenderne il posto. Matteo Renzi arriva a Palazzo Chigi con quell’aria guascona che piace molto agli italiani e, soprattutto, all’intero establishment che vede in lui l’uomo della Grande Svolta. Per questo motivo Renzi comincia a sentirsi una sorta di De Gaulle e, come vuole la tradizione, a suo favore si stanno mobilitando intere falangi di turibolanti smaniosi di diventare suoi commensali. Sono, ormai, mesi che Matteo Renzi incombe sulla scena politica italiana e finalmente sarà possibile chiarire i troppi interrogativi che, con brillante facondia, ha sempre saputo eludere. Disoccupazione, debito pubblico e pressione fiscale restano i grandi dilemmi su cui anche le più nobili intelligenze (spesso sopravvalutate...) hanno miseramente fallito. Tuttavia, ci sono temi non meno “sensibili” (ad esempio, riforma della pubblica amministrazione, giustizia e lotta alla criminalità organizzata) su cui finora Renzi ha sempre astutamente glissato utilizzando i soliti, stucchevoli slogan ripetuti a memoria.

La sensazione è che Matteo Renzi sia l’espressione di una grande operazione condotta nei salotti buoni del capitalismo italiano che ha individuato nel sindaco di Firenze l’uomo giusto per una definitiva pacificazione interna. Non si spiega, altrimenti, perchè mai riesca a godere contestualmente dell’appoggio di Della Valle, di De Benedetti e di Berlusconi, come si evince chiaramente leggendo Corriere, Repubblica e Giornale. Questa convergenza innaturale di figure storicamente antagoniste, ci fa capire che siamo davanti all’ennesima anomalia di un Paese dove si può diventare premier anche solo per una manciata di voti ottenuti alle primarie di un partito alla deriva. Sono tanti gli interrogativi che si pongono dopo quella che, piaccia o meno, è stata una vera e propria “congiura di palazzo” ordita, con stile dalemiano, da chi si era annunciato come il Grande Innovatore della politica italiana. Siamo alla riedizione dei classici, come sempre accade in un paese dove tutto cambia per non cambiare nulla.

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