Il salone va, nonostante
l’italietta dei peggiori

Venerdì pomeriggio, mentre il suo stand al Salone del mobile brulicava di clienti e addetti del settore arrivati da ogni dove, il titolare di una delle più importanti aziende del distretto del legno, uno di quelli che ha reso la nostra Brianza celebre nel mondo, ha confidato che anche con questo presidente del consiglio non cambierà nulla. Troppi decenni di malgoverno. Troppi incapaci al comando. Troppe chiacchiere e distintivi.

Troppo malefico e aggrovigliato e purulento e melmoso il blocco di potere politico-corporativo-burocratico che soffoca le idee, i talenti, la voglia di fare impresa. Eppure, sembrava la giornata più sbagliata per farsi avvelenare dal pessimismo per un passato che non passa e per una repubblica delle banane che galleggia sul nulla stritolando tutti quelli che hanno qualcosa da dire.

Mai come quest’anno, dopo un lustro di negatività e depressione, si è respirato finalmente un clima rigoglioso di entusiasmo. In soli due giorni il venti per cento in più di visitatori, un caos totale in tangenziale e nei parcheggi, una babele di linguaggi, culture e sensibilità, un’atmosfera da primavera che sboccia, da voglia di riprendere, di ricominciare a crederci. Insomma, quasi una roba da anni Ottanta. E poi, girando tra gli stand delle nostre aziende - le nostre magnifiche aziende di Cantù, Mariano, di una Brianza mai così distante da quella velenosa celebrata da Battisti in una canzone amarissima -, che sfoggio di talento. Che genialità. Che visione lunga del creare, del percepire le nuove onde dei mercati, dei gusti di un pubblico multiforme, che tenacia e che sacrificio nell’andare a prendere il lavoro dove c’è, anche ai confini del mondo, anche negli angoli più impervi della Cina o della Nuova Zelanda. Che grinta nel ricordare all’adrenalinico premier che i suoi programmi basati sulla lotta feroce allo status quo sono da condividere, ma che non pensi di non far seguire i fatti alle parole, perché già troppi in passato hanno sproloquiato a vanvera, e che loro lo aspettano al varco per vedere se è un leader vero o il solito quaquaraquà figlio del peggior trasformismo. Magnifico, veramente. Una cosa da allargare il cuore.

Eppure, forse non aveva torto quell’imprenditore citato all’inizio. Perché nel silenzio generale, è arrivata la notizia che alcune sigle sindacali - Orsa-Ferrovie Lombardia, Usb-Lavoro Privato e Cub Trasporti - hanno indetto uno sciopero dalle 21 di ieri fino alle 21 di oggi che mette a rischio la circolazione dei treni per tutta la domenica. Il giorno clou del Salone. Il giorno di massimo afflusso dei visitatori e nel quale il servizio di trasporto pubblico dovrebbe prevedere il massimo potenziamento e garantire la massima efficienza. E invece questi scioperano. Geni. Giganti. Scienziati. Cervelloni che sembrano creati apposta per dare conferma ai più vieti luoghi comuni sugli impiegati pubblici ideologizzati, fanfaroni e privi dei minimi requisiti di responsabilità che dovrebbero essere patrimonio comune in un paese civile e in un momento di tragica difficoltà come questo.

E l’aspetto più grave non è neppure questo sciopero, già di per sé una roba vergognosa, ma la cultura che lo nutre.

Così come quella ospitata negli stand di Rho è l’Italia migliore, quella di questi anonimi signori è di certo quella peggiore. Quella protetta, corporativa, ideologica, imbevuta del culturame del tanto peggio tanto meglio, del benaltrismo, del familismo, della cooptazione senza merito e senza selezione, del sei e del diciotto politico, della livella, del siamo tutti uguali, del guai a chi guadagna, guai a chi mette a frutto i propri talenti, guai a chi impegna fatica e ideazione e risorse per creare ricchezza e lavoro, il tipico sindacalismo che difende chi è dentro, si dimentica di chi è fuori e se ne infischia degli utenti, dei consumatori, dei cittadini. Il sindacato migliore – ed esiste, per quanto ancora minoritario – ha già preso le distanze da sigle che credono di risolvere i problemi di Trenitalia e Trenord organizzando scioperi selvaggi nel momento di massima necessità, ed è una cosa che gli fa onore. Ma non basta. Questa gente va isolata, indicata a dito e messa nelle condizioni di non fare più del male al paese, perché uno sciopero in una giornata così non ha alcuna strategia se non quella di cercare di rovinare chi si impegna per ripartire.

E non pensiate che sia un mero problema di ferrovieri. Guardate bene dentro i vostri uffici. È facile individuare la componente dei farisei, dei filistei, dei sepolcri imbiancati, degli orfanelli parassitari del consociativismo, della concertazione immorale, dell’oriolo alla mano, del mansionario sindacale che guai se sgarri un minuto, della paccottiglia assistenziale – “lo Stato ci ha lasciati soli, lo Stato dov’è?, lo Stato cosa ha fatto per noi?” -, dell’azienda sfruttatrice, del complotto delle multinazionali, dei mille diritti e degli zero doveri e tutti lì a pontificare e trombonare e infliggere lezioni di moralità inesausta con il ditino alzato alla macchinetta del caffè, tutti ingobbiti e livorosi e fegatosi e forforosi che, signora mia, questi qui ci portano al disastro. Vi sono tornati in mente? Li avete visti per bene?

Non c’è consesso umano e professionale pubblico o privato in quest’italietta da due lire che ne sia immune. Sono quelli che ci vogliono portare giù, al loro livello, quelli che non sanno e quindi parlano, perché chi sa fa e chi non sa sta sempre in cattedra, come tutti i falliti.

Quella è gente velenosa come un Black Mamba, di cui aver paura e da cui fuggire a gambe levate. Se avete voglia di aprire le finestre e di cambiare aria, oggi infischiatevene dello sciopero degli zombie del pensiero unico bulgaro e andate in Fiera, godetevi gli stand migliori e le mille proposte culturali e artistiche del Fuori Salone a Milano. E quando siete lì, a fine giornata, fatevi un bell’aperitivo alla faccia dei sindacalisti di serie Z e alla salute di tutti quelli che ci credono ancora.

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