Il vero obiettivo
finale di Renzi

È ragionevole ipotizzare che lo scontro in corso tra Matteo Renzi e la Bundesbank sia destinato a durare per lungo tempo dato che la sfida alla Merkel rappresenta uno dei temi cruciali della strategia comunicativa del premier che si fonda sulla necessità di tenere alta la temperatura del paese.

Si ponga mente al fatto che, fin dal suo esordio, non c’è stata una settimana in cui Matteo Renzi non abbia annunciato una riforma, un intervento o una novità. Un profluvio straripante di parole ha inondato il paese che assiste, non senza trasalimento, alla esibizione di una energia mai vista prima d’ora. Organi dello Stato, fisco, lavoro, giustizia, scuola, Rai, pensioni, Europa e Bce: tutto appare improvvisamente sotto attacco, dopo decenni di ignavia e di immobilismo che hanno progressivamente condotto il paese al deliquio. Il cittadino ha vissuto il lento declino del paese quasi nel sopore, blandito da un’informazione menzognera che ha usato la tv come bromuro sociale. Con il “tellurico” avvento di Renzi, il clima sembra essere improvvisamente cambiato: purtroppo, però, solo in apparenza. Infatti, nelle pieghe della politica sembra riemergere in modo dirompente l’istinto atavico del conformismo e del servilismo: si capisce chiaramente che è solo cambiato il padrone, oggi più giovane e volitivo, cinico quanto basta per piacere agli italiani. Nel suo incontenibile desiderio di ostentare la propria diversità, il premier denota una fregola riformatrice che punta a stordire il cittadino: in realtà, sono altri gli intendimenti del suo empito decisionista.

Questa ossessiva esibizione di dinamismo è finalizzata a creare un clima di attesa permanente che viene sapientemente alimentato da improvvisazioni, piroette e repentini “coup de théatre”. In realtà, il premier cova in gran segreto il proposito di una svolta da consumare subito dopo la fine della presidenza italiana della Ue.

Infatti, malgrado le dichiarazioni, il vero obiettivo di Renzi resta quello di replicare la grande affermazione personale conseguita alle elezioni europee. Solo in questo modo potrà ottenere l’eliminazione della dissidenza interna al Pd e il contestuale ridimensionamento dei grillini: sarebbe come prendere, in un solo colpo, partito, governo e parlamento. In questo modo, dopo aver conquistato stampa e tv, il premier potrebbe riprendere il percorso delle riforme accentuandone la direzione presidenzialista. Già, il presidenzialismo. È questo il vero approdo finale del renzismo, non ancora esternato al fine di evitare l’ennesimo scontro con la parte più riottosa del partito e per non generare un rigurgito di antiberlusconismo in quella parte di elettorato di sinistra che non ha ancora capito che Matteo il Magnifico, di sinistra, non ha nulla. In quest’ottica, è possibile capire l’assoluta priorità che Renzi attribuisce, in modo pressante, alla riforma del Senato e della legge elettorale.

Il renzismo rappresenta, pertanto, un attacco senza precedenti alla politica e alla burocrazia statale ma non propone nulla di nuovo e, soprattutto, di buono, per l’economia e per la società italiana che, al di là delle fole dadaiste del premier, non riesce ancora ad uscire dalle secche della recessione. Renzi o non Renzi, stiamo ancora aspettando Godot.

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