La carta segreta
di Renzi è Draghi

Una sorta di “quattordicesima” per chi guadagna meno di 1.500 euro al mese, manager di aziende pubbliche con stipendi al massimo di 238 mila euro, le banche che dovranno sborsare un miliardo e 200 milioni in più, il doppio di quanto le aveva “tassate” il governo Letta con la rivalutazione delle quote di Bankitalia.

Rispetto al giorno della slide, quello di ieri è stato il primo e vero passaggio operativo del governo guidato “il giovane uomo che va di corsa”, come l’ha ribattezzato il Financial Times. Renzi ha confermato la sua cifra di riformista spinto, capace anche del sano populismo che prospetta al lavoratore comune la possibilità di vedere sopra di sè qualche disparità in meno o comunque meno clamorosa ed evidente. I manager pubblici si dovranno rassegnare insomma, forse anche l’amministratore delegato di Trenitalia, le banche pure.

Ma basta tutto questo? Per ora, per arrivare al voto europeo mettendo in tasca a 10 milioni di persone 80 euro in più (oltre ai 15 già previsti da Letta), sì. Perché gli altri risultati arriveranno un po’ più in là, a fine anno o ai primi mesi del prossimo. Questo è il dato che emerge dai numeri del Def presentati ieri. «Siamo stati prudenti» ha ricordato il premier. Così il governo si è fermato sulla soglia del 2,6% del rapporto deficit-Pil, rinunciando a trovare qualche risorsa erodendo quello 0,4% che poteva riportarci sulla soglia critica del 3%. Anche la crescita del Pil sarà modesta, lo 0,8% (contro l’1% previsto prima) quest’anno e l’1,5% il prossimo. E tanto per non lasciare troppe illusioni, Renzi si è trovato a confermare che la disoccupazione - Job Act, che non potrebbe essere miracoloso in alcun caso, o meno - arriverà a sfiorare quest’anno il 13%, contro il 12,2% del 2013, per poi scendere al 12,5% nel 2015 e scendere sotto quota 12 solo nel 2017.

Niente eccessive attese, quindi, anche perché i 12 miliardi delle privatizzazioni del 2014 (e gli altrettanti per ciascuno degli anni successivi) serviranno giustamente a ridurre il debito e i 6 miliardi della spending di Cottarelli previsti quest’anno non saranno più di 4,5. Quello di Renzi è stato quindi un mix di realismo, rigore e rinvio a tempi migliori. Ma quali sono questi tempi?

Sono quelli che gli concederà l’Europa. Da oggi e entro maggio quando darà un giudizio sul Def e sulle misure strutturali e sul peso che verrà dato alle riforme politiche e di sistema. Renzi sa che se riesce a dare questa immagine nuova del Paese, può andare a ricontrattare i vincoli del Fiscal compact che scatterà dal 2015. Ma Palazzo Chigi conta anche sul Fattore D, ovvero Draghi.

La rivoluzione italiana non può realizzarsi in pochi mesi. La spinta potrebbe arrivare se a fine anno, la Bce dovesse dare avvio al “quantitative easing”, ovvero all’immissione di fatto, tramite l’acquisto di titoli, di quei mille miliardi nel circuito economico del Vecchio Continente, l’ “arma finale” che ha aiutato gli Usa a superare la Grande Crisi. Su questo Renzi-Padoan contano in gran segreto: loro penseranno a rendere operative le riforme, a dar corpo ai 32 miliardi (confermati) di Cottarelli, ad alleggerire lo Stato e a sperare che gli 80 euro e i soldi restituiti alle aziende gonfino le vele della ripresa.

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