La città del fare
e quella del dire

Una battuta di Einstein è stata richiamata più volte nei giorni scorsi, presentando il Festival della luce: «C’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità, dell’energia atomica, di tutto: è la voglia di fare le cose».

Da decenni a Como, in campo culturale, non si avvertiva una buona volontà così forte e diffusa: ne sono una prova proprio i tanti festival che si vanno susseguendo portando premi Nobel per la fisica (Nakamura domani al Gallio), poeti da tutto il mondo (Europa in versi lo scorso weekend), buone pratiche per il futuro (Now in arrivo a Villa Erba), musicisti, scrittori, filosofi, registi e chi più ne ha più ne metta (i vari ParoLario, Como Città della musica, Lake Como Film Festival, Wow, che arricchiranno l’estate). Viene da chiedersi fino a che punto questa volontà sia condivisa dai politici, che ci amministrano a livello locale e ci rappresentano a Roma. Non facciamo nomi, perché il discorso è davvero generale (ma nient’affatto generico). E non vale soltanto per gli attuali, visti i risultati degli ultimi vent’anni, tra i quali il fatto che il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica, per chi non è avvezzo al burocratese), nel miliardo stanziato il 1° maggio per la cultura, non abbia inserito i monumenti razionalisti comaschi, è solo l’ultima goccia. Fare una riflessione è legittimo , ma evitare le strumentalizzazioni di parte è opportuno: non dimentichiamoci che l’ex Casa del Fascio ospita le Fiamme gialle dal 1957. Molte giunte fa.

A proposito di memoria. Chi si ricorda il comizio di Walter Veltroni per le elezioni amministrative del ’97, quando un Terragni (Emilio) era candidato sindaco a Como? In una piazza San Fedele gremita fece un annuncio che oggi sembra una barzelletta (nel senso deteriore del termine, perché anche le barzellette possono essere cultura, come ci hanno insegnato il suddetto Einstein e Moni Ovadia): «Domani parlo con Visco (allora ministro delle Finanze , ndr) e gli chiederò il via libera per il trasferimento della Guardia di finanza: in breve tempo palazzo Terragni diventerà un museo del Razionalismo».

Il domani, per l’ex Casa del Fascio e per il Razionalismo comasco, non è ancora arrivato. E anche il pur notevole movimento culturale cresciuto negli ultimi anni a Como è inchiodato all’oggi, suo malgrado. Perché, giusto per fare un esempio, non è che ParoLario non abbia mai pensato di dare appuntamento all’anno dopo al suo numeroso pubblico, come fa il Festivaletteratura di Mantova, lasciando alla fine di ogni edizione gli inviti con le date della successiva su tutte le sedie... È che non ha mai avuto certezza sulle sedi con tanto anticipo. E, dal 2014, si è pure dovuta spostare da settembre a giugno, per lasciare spazio alla “grande mostra”... Che in questo 2016 non ci sarà, perché il Comune non è riuscito a organizzarla.

Ma torniamo a Palazzo Terragni. Senza andare a ripescare tutti i politici, di opposte fazioni, che da Veltroni in poi ne hanno promesso la valorizzazione e la restituzione al pubblico, limitiamoci all’ultimo “pasticciaccio”, che già lasciava immaginare la mancanza di un progetto. E, di conseguenza, l’esclusione da qualsiasi finanziamento. Prima era stata inserita nel dossier con cui Como si era candidata a Capitale della Cultura italiana, poi, dopo aver superato brillantemente la prima selezione, era stata stralciata da quello definitivo per la corsa tra le 10 città rimaste in gara. A domanda di chi scrive, davanti ai referenti di tutte le associazioni culturali comasche riuniti ad Expo lo scorso agosto, l’assessore Luigi Cavadini, la cui competenza e passione in materia sono peraltro indubbie, spiegò che non c’erano i tempi per attivare un progetto che consentisse di trasformare la caserma della Guardia di finanza in un polo culturale. Ma, aggiunse: «È l’obiettivo del mio assessorato».

Un obiettivo che, sia chiaro, un assessore non può raggiungere da solo. Rimane forte una responsabilità generale, così come diffusa e condivisa deve essere la volontà di mettere il Razionalismo tra i temi chiave della Como che punta a fare del turismo culturale uno dei suoi motori, anche economici. Un segnale forte è venuto dalla base ed è stato racconto dalle amministrazioni (Provincia e Comune di Como in testa), in occasione dei due Open Day del Razionalismo, che per qualche giorno hanno reso finalmente accessibili e fruibili i monumenti di Terragni & C. (ad esclusione di quello di piazza del Popolo, il più importante di tutti. Segnale persino più negativo dell’assenza di finanziamenti del Cipe). Speriamo che il terzo anno, il prossimo, sia quello del salto di qualità: programma pronto almeno a febbraio per la Bit, così potranno fruirne anche i turisti, e impegno degli enti locali a valorizzare questo patrimonio costantemente.

Oggi, purtroppo, il percorso verso la “Città nuova” iniziato 3 anni fa, con la prima della pur interessante serie di mostre di Villa Olmo, si è interrotto proprio nell’anno del centenario di Antonio Sant’Elia, il cui programma peraltro non c’è ancora e comunque saranno Roma, Milano e Firenze le maggiori protagoniste. A Como si sono attivati più che altro gli appassionati, i volontari; per i l resto la città appare “simile ad un cantiere”, però non “tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte”, come la immaginava l’architetto morto sul Carso il 10 ottobre 1916. Bensì fermo, immobile, come le paratie e la Ticosa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA