La domanda di tutte
le volte che si vota

Vista una campagna elettorale, le hai viste tutte. E di tutte, alla fine, dici che non ne era mai capitata una peggiore. In attesa di quella successiva, naturalmente. E che insulti, ogni volta. Che sbraiti, che pose, che toni, che occhi di bragia nell’incenerire e scomunicare nei secoli dei secoli i complottisti nemici del popolo, della democrazia, della Costituzione, del mondo intero.

Eh sì. C’erano quelli che loro erano antropologicamente superiori, onesti, specchiati, diritti e trasparenti, figli della migliore tradizione democratica, libertaria e - ovviamente -

antifascista, vera fucina di cultura e sapere e lungimiranza che va ben oltre le piccinerie del quotidiano e vede lungo perché ben altri sono i problemi veri e cogenti e grazie a loro sì – formidabili quegli anni - che si era resa democratica e a tutti accessibile la scuola, l’informazione e l’università. E quindi eccoli, coesi e adesi nella difesa dell’Italia etica e della giustizia e delle manette e del dagli all’imprenditore bandito a prescindere e al commerciante evasore genetico e al borghesuccio piccolo, mediocre e triviale mentre loro nelle terrazze alla Moretti, alla Scola, alla Sorrentino tutti lì a magnificare le sorti del mondo equosolidale e a trombonare con il ditino alzato sul sindacato cinghia di trasmissione del progresso e della tutela dei diritti primigeni e sul posto fisso sempre e ovunque e giù le mani dalla memoria incontaminata di Berlinguer che, oltre a tutto il resto, imponeva le mani, guariva dalla scrofola e accarezzava bambini biondi.

Ma c’erano anche quelli dell’onda lunga e della creatività italiana umiliata e offesa dalla burocrazia e dai cento vincoli e dalle mille bardature della peggior Italietta democristiana e consociativa. Ma adesso basta, che dalla spuma degli anni Ottanta stava emergendo un’Afrodite tutta di garofano vestita, capace di decidere e intervenire e strappare il paese fuori dal suo retaggio agro-silvo-pastorale e lanciarlo verso la modernità modernizzata che modernizza il moderno e convention all’americana e piramidi barluccicanti e stilisti del fashion system e bonazze e nani e ballerine e culti della personalità così lontani dalle liturgie ovattate dei dorotei e dai convegni coltissimi e forforosi di “Rinascita” e dei “Quaderni piacentini” da far galleggiare il binomio discoteche-appalti, soubrette-consulenze, tivù commerciale-aziende di Stato su un’onda lunga che sembrava destinata a non finire mai.

Poi però c’erano anche quelli che loro venivano giù dai monti e che la capitale corrotta della nazione infetta l’avrebbero scopata fuori dai maroni a forza di ramazza, perché quelli di prima – tutti, dal primo all’ultimo - erano figli della stessa greppia, visto che qui si lavorava e là si mangiava, qui si pagava e là si rubava, qui si produceva e là si sprecava. Ma ora non più, perché sarebbero arrivati trecentomila valligiani in armi, senza dimenticare che loro ce l’avevano lungo così e forconi e cappi e ampolle e litri di rosso e Asterix e molto più spesso Obelix e federalismi e regionalismi e dialettismi e svizzerismi e venti del nord e cravatte texane e quelli là che portano le malattie tirino su il cammello e se ne tornino a casa loro, che qui siamo gente spiccia che ci mette poco a menare le mani.

E quelli che dovevano salvare la patria? Ne vogliamo parlare di quelli che dovevano salvare la patria? Quanti ne abbiamo visti di eroici martiri assisi sulla linea del Piave?

C’era quello che faceva il banchiere centrale colto e umanista ma poi non più perché doveva salvare l’Italia, quello che faceva il magistrato occhiuto e incorruttibile, ma poi non più pure lui perché doveva salvare l’Italia, quello che faceva il fantasmagorico tycoon televisivo ma poi non più perché, guarda un po’, doveva salvare l’Italia - il paese che lui amava -, per non parlare del tecnocrate bocconiano massonico trilaterale, ma poi non più perché anche a lui era toccato il compito di salvare l’Italia dai disastri combinati dal tycoon che avrebbe dovuto salvare l’Italia, portata sul baratro dal magistrato che avrebbe a sua volta dovuto salvare l’Italia, che alla Fiera dell’Est mio padre comprò… E se uno dei salvatori aveva sempre la barba sfatta, il capello stropicciato e parlava una curiosa lingua che con l’italiano c’azzeccava poco o nulla, l’altro invece tra una bandana e una cenetta felliniana faceva le corna ai meeting internazionali mentre l’ultimo si è infilato un loden in autunno, tra srotolate di saliva dei media che lo hanno venduto al popolo bue come un semi Dio, e se lo è tolto in primavera quando invece – dopo aver sfornato perle di linea economica degne del Congo belga come gli esodati e la riforma del lavoro - anche l’ultimo degli ubriachi si sentiva autorizzato a prenderlo a torte in faccia. E il dramma è che da decennio a decennio, al di là dei nomi e della scenografia, non è mai cambiato niente. Perché se togli Natta e metti Bersani, sfili Craxi e infili Berlusconi, cancelli Forlani e appiccichi Prodi, se non è zuppa è pan bagnato…

E adesso? Adesso si è visto un ragazzotto giovane, ma già un po’ meno giovane e un po’ meno arrogante e invece ogni giorno che passa un po’ più pingue, infilare battute a raffica, che generalmente non fanno manco ridere, un anziano, decrepito leone in evidente disarmo straparlare di cani, dentiere e pericoli legati al ritorno di un omino con i baffetti e, infine, un tale tutto arruffato, esagitato e furbacchione così compreso nel ruolo che ormai ti manda “affncl” anche se gli dici buongiorno o gli offrì un caffè…

Tutto questo abbiamo visto, tutto questo per davvero, in tre decenni schifosi, tragici e anche poco seri. Mostri, umanoidi, demagoghi di serie zeta, bluff da avanspettacolo, burocrati cisposi, sopracciò, ominicchi e quaquaraquà.

E allora, come diceva il mitologico Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: ma chi è che ha sbagliato in tutti questi anni? Loro, a essere così come sono, oppure noi, che li abbiamo sempre votati?

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