La furbizia fiorentina
del giovane premier

Con l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica va dato atto a Matteo Renzi di avere realizzato un vero e proprio capolavoro politico che rinforza la sua immagine di premier scaltro, risoluto e spregiudicato. Chi ha dubitato dell’abilità di Matteo Renzi, ha avuto la dimostrazione che abbiamo a che fare con un autentico animale politico il cui ingegno non disdegna il giusto cinismo ove la situazione contingente lo renda necessario.

Matteo Renzi, fiorentino come Machiavelli, sa annusare i momenti topici della politica, sa scegliersi gli alleati e sa bene anche quando è il momento di liberarsene. Renzi è un cavallo di razza che sa muoversi nel Palazzo con la disinvoltura dei politici più navigati. In questo senso, è una via di mezzo tra Craxi e Fanfani di cui evoca il fiuto politico, la cattiveria e quella arguta tracotanza che piace a certi salotti dove si determinano i destini della politica italiana che, come Renzi sa, è il regno del provvisorio, una grande palude in cui i nemici di oggi possono diventare gli amici di domani, il luogo in cui la vittoria conserva un enorme potere assolutorio: al vincitore si perdona sempre tutto.

Chapeau, dunque, a Matteo Renzi che è riuscito a realizzare un “en plein” del tutto imprevedibile ed inaspettato. L’elezione di Mattarella ha consentito, infatti, al premier di ricompattare il suo partito e, nel contempo, di indebolire i suoi alleati e disarticolare l’opposizione. La destra italiana, in tutte le sue componenti, ne esce squassata, annichilita; la Lega e i grillini escono con le ossa rotte, silenziati da un risultato che, in modo impietoso, ha messo a nudo la loro assoluta irrilevanza e il desolante vuoto strategico.

Nello stesso tempo, l’elezione di Mattarella ha consentito al premier di non far saltare il Patto del Nazzareno, malgrado alla dissidenza del Pd piaccia interpretare la nomina di Mattarella come una perentoria riaffermazione del proprio ruolo. In realtà, pur con qualche ammaccatura, quel patto è destinato a reggere per molto tempo perché il Cavaliere non ha motivo per diffidare di Mattarella che, andrebbe ricordato, nel 2011 fu eletto giudice costituzionale con i voti del Pdl. Non si creda, quindi, alla favola di un Cavaliere ostile al nuovo capo dello Stato, come è stato sostenuto da chi voleva accreditare, tendenziosamente, la tesi dell’imminente rottura tra Renzi e Berlusconi.

A bocce ferme, quindi, sarà possibile capire tante cose che oggi, nel giustificato tripudio generale, risulta poco elegante o poco utile capire. Il dato certo è che Renzi è riuscito ad avere quello che voleva, cioè un Presidente galantuomo, sobrio, mite quanto basta per non esserne offuscato. Sergio Mattarella sarà un po’ Saragat e un po’ Leone, cioè un Presidente che, per aplomb e temperamento, riesumerà quello stile defilato e notarile che, dopo i presidenzialismi “preterintenzionali” degli ultimi anni, tutti ritenevamo superato per sempre. Anche questo rappresenta un capolavoro di Matteo Renzi, cioè quello di essere il Grande Rottamatore che, all’occorrenza, sa anche essere il Grande Restauratore.

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